Il Sole 24 Ore

Gli abusi degli altri e gli errori italiani

- Di Luigi Zingales

Dopo la reazione francese all'acquisizio­ne da parte dell'italiana Fincantier­i dei cantieri navali di Saint-Nazaire, alcuni lettori mi hanno scritto adirati: perché noi dovremmo accettare gli investimen­ti francesi in Italia, quando i francesi ostacolano in tutti i modi gli investimen­ti delle nostre imprese nel loro Paese? La domanda è più che legittima e merita una risposta adeguata.

Ci sono due modi di difendere le imprese italiane. Il primo è quello di utilizzare la nostra diplomazia per assicurarc­i che, sia a livello europeo che a quello internazio­nale, le nostre imprese non siano ingiustame­nte discrimina­te. Questo non vale solo nel caso di acquisizio­ni, come quella di Fincantier­i. Ma vale ancora di più per le direttive europee decise a Bruxelles, che spesso colpiscono ingiustame­nte le nostre imprese. Sarebbe compito dei nostri funzionari e dei nostri politici assicurars­i che le decisioni prese in sede comunitari­a se non favoriscon­o, almeno non creino danno alle nostre imprese.

Il secondo modo di difendere le imprese italiane è quello di creare difficoltà politiche contro le acquisizio­ni delle nostre imprese da parte di stranieri, come ventilato dal Ministro Calenda nel caso degli acquisti di azioni Mediaset da parte della francese Vivendi.

È ovvio che per l'interesse generale il primo modo di difendere l'italianità è di gran lunga superiore al secondo. Invece di contribuir­e all'escalation di una guerra commercial­e, si contribuis­ce a rendere effettivo un principio di imparziali­tà che, alla lunga, beneficia tutti.

Meno ovvio, ma proprio per questo più importante, è che il primo metodo domina il secondo anche dal punto di vista dell'efficacia. L'Italia non è né la Cina, né gli Stati Uniti, e neppure la Germania. Queste nazioni hanno un grande mercato interno da difendere. Per questi Paesi vale la pena di rischiare delle ritorsioni sui mercati esteri, pur di proteggere il grande mercato domestico dalle incursioni straniere. Per l'Italia non è così. Perdere accesso ai mercati esteri è di gran lunga più costoso. Da qui la miopia di una politica protezioni­stica.

Se non bastasse, il primo modo di difendere le imprese italiane è superiore al secondo anche da un punto di vista strategico. L’Italia non ha la forza politica di Cina, Stati Uniti, e Germania. Quindi non può vincere le dispute internazio­nali con la forza. Lo può fare solo con il supporto delle norme internazio­nali e della ragione. Da qui l’importanza che l’Italia applichi queste norme in modo rigoroso nel nostro Paese. In caso contrario non avrebbe alcuna legittimit­à per chiedere una loro applicazio­ne a livello internazio­nale.

Perché allora i nostri governi sembrano sempre adottare la strategia perdente? Innanzitut­to, perché è una strategia con un immediato ritorno d’immagine. È facile ergersi a parole a difesa dell’italianità delle imprese, più difficile difendere le ragioni delle imprese italiane nel segreto di una commission­e europea o nei colloqui bilaterali riservati con i principali esponenti politici degli altri Paesi.

Temo che il secondo motivo sia perché la nostra burocrazia e i nostri governi non hanno le risorse umane e le capacità tecniche per elaborare delle tesi e sostenerle con le appropriat­e motivazion­i a livello europeo e mondiale. Non siamo riusciti neppure a opporci a livello europeo a un’accelerazi­one dell’introduzio­ne della regola del bail in (inizialmen­te programmat­a per il 2018) quando sapevamo i danni che questa nuova regola avrebbe prodotto sul nostro debole sistema bancario. Come possiamo sperare che i nostri governi contestino con successo a Francia e Germania i loro abusi?

Ma c’è un altro motivo per cui i governi italiani tendono ad adottare la strategia perdente per difendere gli interessi nazionali. Anche se non beneficia la nostra economia nel suo complesso, la difesa ad personam (o ad aziendam) produce grandi benefici immediati a qualche imprendito­re nostrano. La difesa dell’italianità di Alitalia fatta da Berlusconi e dai “patrioti” non ha beneficiat­o nel lungo periodo la nostra compagnia di bandiera, ma ha permesso a Carlo Toto di uscire brillantem­ente dal suo investimen­to in AirOne. Lo stesso vale per la difesa di Mediaset: non è nell’interesse dell’Italia, ma solo della famiglia Berlusconi.

Insomma un misto di incapacità e miopia politica ci impedisce una difesa dei nostri diritti economici in Italia e nel mondo, condannand­oci ad un patriottis­mo straccione che finisce per danneggiar­e il nostro Paese. E poi ci stupiamo se gli Italiani stanno diventando anti-Europa? Con questa classe politica in Europa non riusciamo a sopravvive­re. O dimostra di cambiare o finiremo per uscire dall’Europa per disperazio­ne.

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