L’Italia e il club di francesi e tedeschi
Un quesito al quale è difficile dare una risposta univoca riguarda la situazione e le prospettive dell’economia italiana e di quella europea. Tuttavia alcune risposte si possono dare con un ragionevole (anzi grande) grado di approssimazione.
Per l’economia italiana si constata la moderata ripresa per il 2016 che la porta verso un 1% mentre la conferma di questa crescita nel 2017 e nel 2018 ha almeno due grandi incognite: quella politica e quella bancaria. Oltre a queste ve ne sono altre di medio-lungo termine che suddividiamo per comodità in tre: quella della produttività, del Mezzogiorno, del debito pubblico. Il tutto si interseca (il che non vuol dire che ne è determinato) con l’efficienza dell’apparato pubblico e ha ricadute sul piano occupazionale.
Per l’economia dell’Eurozona la ripresa del 2016 oscilla intorno all’1,7% con la Germania che sia avvia al 2% e che quindi potrebbe rialzare la crescita di tutta la Uem di cui rappresenta circa un terzo. Per il 2017 e 2018 si ritiene che in media l’Eurozona confermi una crescita intorno all’1,7% subordinatamente ad una serie di incognite sia di tipo politico (elezioni in Francia e in Germania) sia di tipo economico interno (con particolare riferimento alla ripresa dell’inflazione e quindi alla politica della Bce) ed esterno (in particolare neo protezionismo Usa).
Di fronte a tutte queste variabili le previsioni diventano congetture intorno alle quali ci si deve chiedere: quali scelte interne deve fare l’Italia? Quale peso può avere nell’Eurozona? Sappiamo che spesso è difficile indicare politiche economiche e soluzioni certe non tanto perché queste siano ignote ma perché la loro pratica attuazione è funzione di forze contrastanti piuttosto che convergenti. Tuttavia un tentativo merita di essere fatto su due temi: quello della politica, quello della produttività. Non tratteremo invece del tema bancario (sul quale il Sole 24 Ore si è ripetutamente soffermato) che evidenzia il ruolo dominante dell’euro-club franco-tedesco.
L’Italia è fuori dalla porta di servizio in un ruolo che si è anche “conquistato” non chiedendo, come la Spagna (che è invece è già nell’anticamera del Club), l’intervento del Fondo Europeo Esm nel 2012 e 2013.
Una variabile politica: incertezza
Nella Eurozona le elezioni di Francia e Germania, per quanto di esito incerto come ogni consultazione, porteranno ad un presidente della Repubblica (favorito François Fillon, già primo ministro dal 2007 al 2012)e a un cancelliere (certamente Angela Merkel,in carica dal 2005) che hanno una lunga esperienza di Governo e che menterranno quell’asse franco-tedesco su cui l’Eurozona si regge, anche in termini di Pil pari al 50%. In Italia tutto è incerto e questo, ad unanime valutazione degli analisti sia italiani che esteri, pesa assai sulle prospettive economiche declassate anche dall’ultima agenzia di rating (la Dbrs canadese) che ci ha scalato da un “Alow”a un “BBB” per l’incertezza della politica per riforme, per la vulnerabilità del sistema bancario, per i bassi livelli di crescita e produttività. L’esito del referendum e il processo fortemente conflittuale che ha portato allo stesso, hanno segnato uno spartiacque tra un periodo di ripresa sia pure lenta e un periodo che, pur in presenza di una legge di bilancio espansiva, renderà complessa la sua attuazione. In particolare, la necessità di avere un consenso parlamentare adeguato creerà difficoltà sul controllo dei conti pubblici, tra l’altro gravati anche da salvataggi bancari.
Una variabile economica: produttività
Scegliamo questa grandezza economica perché è pressoché unanime la valutazione questo è “il” principale divario della nostra economia rispetto a quella dell’euroclub (ed a molte altre). Ci riferiremo principalmente a un rapporto di Prometeia che rivisita varie delle migliori analisi. Si rileva quindi che dal 2000 al 2007 la produttività per ora lavorata è cresciuta in Italia dello 0,3% contro il 13,1% in Germania e il 20,5% in Francia e che, durante gli anni della crisi, da noi è cresciuta del 3,7% contro il 6,1% dei tedeschi e il 4,7% dei francesi. Al di là delle cause storiche che hanno portato a questo divario, che ormai si trascina da quasi vent’anni, due aspetti paiono assodati: quello della dimensione di impresa; quello settoriale. L’Italia ha troppe microimprese ed è inefficiente soprattutto in alcuni servizi.
La struttura dimensionale delle imprese rivela infatti che per le medie (tra 50 e 250 occupati) e le grandi imprese (più di 250 occupati) la nostra produttività è più alta di quella francese e tedesca. La differenza è che la quota cumulata di occupati in questa fascia dimensionale è in Italia del 34% a fronte del 53% della Francia e del 59% della Germania mentre noi abbiamo il 45,2% nelle microimprese (tra 1 e 9 addetti) a fronte del 29% in Francia e del 19% in Germania. Questa composizione abbassa la produttività media del sistema Italia.
La struttura settoriale rivela che le microimprese si concentrano in Italia in determinati settori. Nella manifattura sono il 25% (a fronte del 45% di tutta l’economia) che è una quota tuttavia più alta di quella francese (15%) e tedesca(7%). Nelle costruzioni e nei servizi di mercato (esclusi finanza e immobiliare) è 30 punti percentuali sopra la quota della Germania e 20 sopra quella della Francia.
Le due divaricazioni spiegano anche perché dal 2009 al 2014 la nostra manifattura ha avuto una forte ripresa della produttività oraria e cioè superiore al 18% a fronte di un 15% di quella francese e del 20% di quella tedesca. Anche il settore finanziario e quello delle costruzioni hanno avuto una ripresa della produttività per ora lavorata pur di minore entità. Al contrario, quella dei servizi è calata del 2% mentre in Germania e Francia è salita del 5%.
L’Italia e l’euro-club
Il Pil del nostro Paese pesa su quello dell’Eurozona del 15% circa, quello della Francia del 20% circa e quello della Germania quasi del 30%. Per entrare nel club franco-tedesco sarebbero utili alcuni punti di Pil ma anche un primo ministro che duri in carica cinque anni con una maggioranza politica. Altrimenti l’Italia non risalirà la china per entrare nel club. Ed allora potrà solo lamentarsi.