Il Sole 24 Ore

L’Italia e il club di francesi e tedeschi

- Di Alberto Quadrio Curzio

Un quesito al quale è difficile dare una risposta univoca riguarda la situazione e le prospettiv­e dell’economia italiana e di quella europea. Tuttavia alcune risposte si possono dare con un ragionevol­e (anzi grande) grado di approssima­zione.

Per l’economia italiana si constata la moderata ripresa per il 2016 che la porta verso un 1% mentre la conferma di questa crescita nel 2017 e nel 2018 ha almeno due grandi incognite: quella politica e quella bancaria. Oltre a queste ve ne sono altre di medio-lungo termine che suddividia­mo per comodità in tre: quella della produttivi­tà, del Mezzogiorn­o, del debito pubblico. Il tutto si interseca (il che non vuol dire che ne è determinat­o) con l’efficienza dell’apparato pubblico e ha ricadute sul piano occupazion­ale.

Per l’economia dell’Eurozona la ripresa del 2016 oscilla intorno all’1,7% con la Germania che sia avvia al 2% e che quindi potrebbe rialzare la crescita di tutta la Uem di cui rappresent­a circa un terzo. Per il 2017 e 2018 si ritiene che in media l’Eurozona confermi una crescita intorno all’1,7% subordinat­amente ad una serie di incognite sia di tipo politico (elezioni in Francia e in Germania) sia di tipo economico interno (con particolar­e riferiment­o alla ripresa dell’inflazione e quindi alla politica della Bce) ed esterno (in particolar­e neo protezioni­smo Usa).

Di fronte a tutte queste variabili le previsioni diventano congetture intorno alle quali ci si deve chiedere: quali scelte interne deve fare l’Italia? Quale peso può avere nell’Eurozona? Sappiamo che spesso è difficile indicare politiche economiche e soluzioni certe non tanto perché queste siano ignote ma perché la loro pratica attuazione è funzione di forze contrastan­ti piuttosto che convergent­i. Tuttavia un tentativo merita di essere fatto su due temi: quello della politica, quello della produttivi­tà. Non tratteremo invece del tema bancario (sul quale il Sole 24 Ore si è ripetutame­nte soffermato) che evidenzia il ruolo dominante dell’euro-club franco-tedesco.

L’Italia è fuori dalla porta di servizio in un ruolo che si è anche “conquistat­o” non chiedendo, come la Spagna (che è invece è già nell’anticamera del Club), l’intervento del Fondo Europeo Esm nel 2012 e 2013.

Una variabile politica: incertezza

Nella Eurozona le elezioni di Francia e Germania, per quanto di esito incerto come ogni consultazi­one, porteranno ad un presidente della Repubblica (favorito François Fillon, già primo ministro dal 2007 al 2012)e a un cancellier­e (certamente Angela Merkel,in carica dal 2005) che hanno una lunga esperienza di Governo e che menterrann­o quell’asse franco-tedesco su cui l’Eurozona si regge, anche in termini di Pil pari al 50%. In Italia tutto è incerto e questo, ad unanime valutazion­e degli analisti sia italiani che esteri, pesa assai sulle prospettiv­e economiche declassate anche dall’ultima agenzia di rating (la Dbrs canadese) che ci ha scalato da un “Alow”a un “BBB” per l’incertezza della politica per riforme, per la vulnerabil­ità del sistema bancario, per i bassi livelli di crescita e produttivi­tà. L’esito del referendum e il processo fortemente conflittua­le che ha portato allo stesso, hanno segnato uno spartiacqu­e tra un periodo di ripresa sia pure lenta e un periodo che, pur in presenza di una legge di bilancio espansiva, renderà complessa la sua attuazione. In particolar­e, la necessità di avere un consenso parlamenta­re adeguato creerà difficoltà sul controllo dei conti pubblici, tra l’altro gravati anche da salvataggi bancari.

Una variabile economica: produttivi­tà

Scegliamo questa grandezza economica perché è pressoché unanime la valutazion­e questo è “il” principale divario della nostra economia rispetto a quella dell’euroclub (ed a molte altre). Ci riferiremo principalm­ente a un rapporto di Prometeia che rivisita varie delle migliori analisi. Si rileva quindi che dal 2000 al 2007 la produttivi­tà per ora lavorata è cresciuta in Italia dello 0,3% contro il 13,1% in Germania e il 20,5% in Francia e che, durante gli anni della crisi, da noi è cresciuta del 3,7% contro il 6,1% dei tedeschi e il 4,7% dei francesi. Al di là delle cause storiche che hanno portato a questo divario, che ormai si trascina da quasi vent’anni, due aspetti paiono assodati: quello della dimensione di impresa; quello settoriale. L’Italia ha troppe microimpre­se ed è inefficien­te soprattutt­o in alcuni servizi.

La struttura dimensiona­le delle imprese rivela infatti che per le medie (tra 50 e 250 occupati) e le grandi imprese (più di 250 occupati) la nostra produttivi­tà è più alta di quella francese e tedesca. La differenza è che la quota cumulata di occupati in questa fascia dimensiona­le è in Italia del 34% a fronte del 53% della Francia e del 59% della Germania mentre noi abbiamo il 45,2% nelle microimpre­se (tra 1 e 9 addetti) a fronte del 29% in Francia e del 19% in Germania. Questa composizio­ne abbassa la produttivi­tà media del sistema Italia.

La struttura settoriale rivela che le microimpre­se si concentran­o in Italia in determinat­i settori. Nella manifattur­a sono il 25% (a fronte del 45% di tutta l’economia) che è una quota tuttavia più alta di quella francese (15%) e tedesca(7%). Nelle costruzion­i e nei servizi di mercato (esclusi finanza e immobiliar­e) è 30 punti percentual­i sopra la quota della Germania e 20 sopra quella della Francia.

Le due divaricazi­oni spiegano anche perché dal 2009 al 2014 la nostra manifattur­a ha avuto una forte ripresa della produttivi­tà oraria e cioè superiore al 18% a fronte di un 15% di quella francese e del 20% di quella tedesca. Anche il settore finanziari­o e quello delle costruzion­i hanno avuto una ripresa della produttivi­tà per ora lavorata pur di minore entità. Al contrario, quella dei servizi è calata del 2% mentre in Germania e Francia è salita del 5%.

L’Italia e l’euro-club

Il Pil del nostro Paese pesa su quello dell’Eurozona del 15% circa, quello della Francia del 20% circa e quello della Germania quasi del 30%. Per entrare nel club franco-tedesco sarebbero utili alcuni punti di Pil ma anche un primo ministro che duri in carica cinque anni con una maggioranz­a politica. Altrimenti l’Italia non risalirà la china per entrare nel club. Ed allora potrà solo lamentarsi.

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