Twist sportivo per Emporio, i decori di Dolce&Gabbana
Diesel Black Gold urbano e marziale, da Versace piumini e cappotti over
La moda sembra mutare di continuo. Eppure, secondo il vecchio adagio, più cambia più è la stessa cosa. L’assunto è particolarmente evidente nell’abbigliamento maschile, e non è affatto detto che sia un male, perché le evoluzioni lente sono le più efficaci. È di questa opinione Giorgio Armani, che ieri ha aperto la compatta kermesse milanese della moda uomo con la sfilata della linea Emporio Armani. Mentre tutto cambia, con gli interni del teatrino in beton brut di via Bergognone che guadagnano una benvenuta e ariosa leggerezza, Armani rinuncia allo sforzo di acchiappare l’essenza inafferrabile del cool contemporaneo - cosa sarà, poi, è proprio il caso di chiedersi - per tornare a far Armani. Ovvero, lavora su una idea di sobria normalità che svuota, scava e ridefinisce a colpi di decostruzione gentile. Scelta felice che ribadisce, se fosse il caso, la contemporaneità durevole di una idea del ben vestire che davvero non ha tempo. «Io sono io e non posso essere altro - dichiara Armani, raggiante in backstage alla fine della sfilata -. Dovremmo liberarci dall’idea che la moda ma- schile cambi ogni sei mesi: lascerei questa urgenza alle donne. Preferisco piuttosto una moda maschile che duri, perchè corrisponde alla verità dei fatti. Mi piace inoltre lavorare su quel che l’uomo può o non può indossare. Non ho mai amato le stravaganze inutili, e questo vale oggi più che mai». La collezione è un concentrato di understatement armaniano: è sobria, con un deciso twist sportivo che fa la differenza. Il mix di silhouette che ricordano gli anni Trenta americani - giacche piccole, pantaloni ampi - cappotti estremi e accessori selvaggi funziona, e Emporio ritrova personalità.
Per Dolce & Gabbana l’understatement non è mai stato nemmeno un’opzione: grazie al cielo, va detto, perchè la varietà delle voci è un riflesso della mascolinità contemporanea, esplosa, in frantumi e in flusso costante. La collezione è un clash tecno-barocco di marsine, galloni, opulenze fiabesche e laiseez-faire da digital generation. Se gli abiti sono l’usuale trionfo esibizionista di decori compiaciuti e forme che ridisegnano ed esaltano il corpo, a far la differenza questa volta è il cast di digital influencer e figli di. Tutti belli e tutti giovanissimi, ma soprattutto, tutti accompagnati da consistenti numeri di follower sui social media. Perchè tanto, poi, la partita si gioca tutta lì: è nel mondo virtuale che si cementa l’appeal di un marchio, a suon di testimonial bardati in abiti che ipnotizzano la retina. Il commercio segue.
A proposito di ipnosi, è a dir poco psichedelico il debutto di Fran- cesco Risso alla direzione creativa di Marni: un’overdose di primitivismo cartoon, nerd anni Settanta e sciamanesimo festaiolo. Come prima prova lo show fila dritto: Risso riallinea l’uomo Marni, in passato fragile e decisamente sobrio, all’eccentricità della donna. Certo, l’impring pradesco è evidente - nella messa in scena ancor più che nelle felici contraddizioni di stili e colori - ma del resto la signora Miuccia è il nume tutelare dei fuoriclasse della nuova generazione, senza dire che proprio per lei Risso ha lavorato.
È inaspettatamente sobrio, ma sempre decisamente superomistico, il maschio di Donatella Versace: porta grandi cappotti, piumini sovradimensionati e abiti dalle spalle importanti, ma si nasconde dietro il ciuffo stirato sugli occhi, come un emo un po’ timido. L’alternanza di personalità, in passerella, è vorticosa, specchio delle inclinazioni insieme tribali e individualiste dell’uomo contemporaneo, sempre indeciso su come rappresentarsi nel teatrino del vivere sociale.
Da Diesel Black Gold lo spirito è urbano e marziale, ma le durezze abituali lasciano spazio a una asciutta poesia fatta di forme a kimono e volumi generosi. È tattile e caotico, in fine, il mondo di Antonio Marras, che alla sfilata preferisce una presentazione piena di pathos - e di texture - all’interno della sua mostra allestita in triennale. La modalità confonde, ma emoziona.
IL DEBUTTO Prima prova «psichedelica» per Francesco Risso che riallinea l’uomo Marni, Antonio Marras emoziona alla sua mostra in Triennale