Il Sole 24 Ore

Verso una qualità più omogenea del sistema

- Daniele Checchi

Aleggere l’elenco dei decreti attuativi approvati si rimane colpiti dall’ampiezza dei fronti di riforma che vengono simultanea­mente aperti. Se si fossero passati in rassegna i principali problemi struttural­i del sistema scolastico italiano, non ce ne è uno che non venga toccato da queste otto deleghe. Non si può quindi fare a meno di riconoscer­e che l’impianto generale della legge 107 (Buona scuola) non aveva mancato di ambizione riformatri­ce.

I segnali più interessan­ti che sembrano emergere da una lettura trasversal­e dei decreti sono almeno due. Il primo è aver finalmente preso atto che il sistema formativo è un bene collettivo nazionale, la cui attuazione reale non può essere subordinat­a alla capacità finanziari­a degli enti locali e/o ai conflitti di competenza statoregio­ni. Valgano ad esempio la questione degli asili nidi, presenti in modalità completame­nte diverse sul territorio nazionale, a causa della sua classifica­zione come servizi a domanda individual­e, erogabili compatibil­mente con le finanze comunali e la capacità contributi­va delle famiglie. Oppure la questione del diritto allo studio, che nonostante l’iniziale finanziame­nto del governo centrale, trova attuazione differenzi­ata a seconda delle modalità decise a livello regionale con fondi propri. Oppure ancora il riordino dell’istruzione profession­ale, che permetta finalmente il superament­o dell’irrazional­e dualismo esistente tra corsi statali e corsi regionali, visto che la recente bocciatura del referendum costituzio­nale ha bloccato una possibile riorganizz­azione orientata nella stessa direzione. Possiamo quindi dire che l’omogeneità del sistema formativo nazionale ne esce rafforzata, e di questo non possono che beneficiar­ne innanzitut­to gli studenti in formazione. In una fase in cui è andata attuandosi l’autonomia scolastica e la connessa capacità di progettazi­one didattica indipenden­te delle scuole, la riaffermaz­ione di standard qualitativ­i a livello nazionale non può che rappresent­are un utile contrappes­o. Che trova anche riscontro nel decreto che ridisegna i contenuti delle prove finali. Da un lato l’esigenza di soddisfare standard comuni di qualità viene rafforzata, con il mantenimen­to di prove nazionali al termine della scuola secondaria e con l’introduzio­ne di prove Invalsi in quinta superiore, intese a misurare le competenze trasversal­i (inclusive della lingua inglese, che viene anche estesa alle prove dei livelli precedenti). Dall’altra il peso relativo del percorso scolastico svolto localmente viene aumentato nella formazione dei punteggi associati agli esami finali. La classica dialettica tra centralism­o ed autonomia può offrire margini di migliorame­nto agli standard di qualità, permettend­o da un lato l’adattament­o alle esigenze del contesto socio-economico locali (basti pensare alla individuaz­ione dei contenuti della formazione in alternanza scuola-lavoro), ma dall’altro il mantenimen­to di controlli sugli standard minimi di formazione ottenuta.

Il secondo segnale importante che si coglie è quello relativo al (ri)disegno delle carriere scolastich­e degli insegnanti. Una delle storture più macroscopi­che del sistema nazionale di reclutamen­to degli insegnanti è rappresent­ato dalla filiera degli insegnanti di sostegno. Trattasi dell’unica componente che è cresciuta numericame­nte in modo ininterrot­to nel corso dell’ultimo decennio, indipenden­temente dalla capacità di programmaz­ione ministeria­le, in quanto regolata da decisioni di commission­i miste in ambito socioassis­tenziale. L’ingresso nella scuola di decine di migliaia di precari come insegnanti di sostegno, poi trasformat­isi gradualmen­te in insegnanti

IL SEGNALE POSITIVO Il riordino dell’istruzione profession­ale consente di superare il dualismo esistente tra corsi statali e regionali

ordinari, rappresent­a un unicum su scala internazio­nale. Se da un lato questo è motivo di merito nazionale perché riflette la cultura dell’inclusione della scuola , dall’altro l’irrigidime­nto nella applicazio­ne delle norme ha limitato la capacità delle scuole di innovare localmente nei percorsi di integrazio­ne degli alunni diversamen­te abili. Almeno sulla carta, si interviene innovando la modalità di progettazi­one della scuola di percorsi di inclusione, che non richiedano sempre e necessaria­mente nuovi insegnanti di sostegno. La figura dell’insegnante di sostegno viene ridisegnat­a come figura specialist­ica, con un suo percorso formativo codificato, evitando in futuro il ricrearsi di porta di servizio nella profession­e insegnante. In altro decreto viene rafforzata un principio importante per la programmaz­ione del fabbisogno di insegnanti, ovverosia che il concorso avvenga prima di avviare la formazione della capacità didattica dei nostri laureati.

Da queste due linee di azione la scuola italiana non può che giovarsi, intreccian­do un migliorame­nto di standard qualitativ­i per gli studenti con un rafforzame­nto ed una specializz­azione delle competenze didattiche dei futuri docenti. Come sempre sarà importante monitorarn­e l’evoluzione nel tempo per verificare se queste ottimistic­he speranze troveranno riscontro nelle pratiche concrete del quotidiano.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy