Ricostruzione culturale
A Palmira la possibilità di ridare forma a quanto distrutto crea polemiche: la tecnologia può riempire un vuoto. Come in passato
a Il sito archeologico di Palmira è stato oggetto, negli ultimi due anni, di una attenzione mediatica eccezionale. Le (brutte) notizie delle distruzioni di monumenti, dell’assassinio di Khaled al-As’ad, degli eccidi di massa, amplificate e diffuse in maniera capillare grazie alla tecnologia di cui oggi disponiamo, hanno dato a Palmira il suo triste momento di maggior fama.
Alcune immagini sono diventate virali, ad esempio quella dell’Arco Monumentale abbattuto, sullo sfondo di una fotografia che mostra com’era, oppure quella del cumulo di rovine del tempio di Bel, sovrastate dal portale d’ingresso, l’unico elemento non distrutto dall’esplosivo. Da subito, sotto la spinta emotiva di queste drammatiche vicende, si è acceso un ampio dibattito sul futuro di Palmira e dei suoi monumenti, incentrato in particolare sulla ricostruzione del tempio di Bel, ritenuta opportuna o doverosa e comunque attuabile con le tecniche 3D.
Lasciare tutto così com’è ora o riproporre lo stato del monumento quale era nel 2015? La questione non è meramente archeologica e neppure solo tecnologica, ma è anche politica ed etica, in quanto la risposta avrà un forte significato contro l’ignoranza, l’inciviltà, la barbarie. Per questo, forse, l’ipotesi della ricostruzione ha avuto una così ampia eco nella pubblica opinione ed è piaciuta l’idea di ricostruire, di riempire un vuoto, di ridare volume ai monumenti distrutti. Un segno concreto contro il nulla della controparte.
D’altro canto, anche i cumuli di rovine so- no significanti, tenuto conto che, di nuovo con il supporto della tecnologia, i visitatori potranno comunque ancora “vedere” e addirittura “entrare” nel tempio di Bel. Per la realtà virtuale oggi bastano uno smartphone e una scatola di cartone.
Casi celebri di ricostruzione integrale di monumenti distrutti sono quello di Dresda, rasa al suolo dai bombardamenti del 1945, oppure quello del Palazzo dei Granduchi di Vilnius, ripristinato da qualche anno, in quanto simbolo della memoria storica della Lituania. Non meno impressionante, ma di segno opposto, è l’assenza delle grandi statue del Buddha nella valle di Bamiyan, in Afghanistan, distrutte nel 2001.
A Palmira molti monumenti sono stati restaurati, integrati o ricostruiti nel corso del Novecento. Soprattutto a partire dagli anni Sessanta, gli archeologi siriani si sono impegnati in questa grande opera di tutela e valorizzazione del sito, finalizzata allo sviluppo del turismo e dell’economia dell’oasi. Uno dei protagonisti di quella stagione è stato Khaled al-As’ad, direttore del sito e del Museo di Palmira dal 1963 al 2003, e quanto successo abbiano avuto le ricostruzioni è testimoniato, ad esempio, dal Tetrapilo, uno dei monumenti più ammirati e fotografati di Palmira.
Al contrario del tempio di Bel, il Tetrapilo non era sopravvissuto alle ingiurie del tempo: posto al centro di una piazza sul percorso della Grande Via Colonnata, del monumento restavano i basamenti e qualche elemento architettonico, come documentato dalle foto di inizio ’900. Delle sedici colonne che ora ammiriamo, soltanto una è antica, le altre quindici sono in cemento moderno. Anche questo genere di operazione, in cui le poche parti originali sono state pesantemente integrate da molte parti ricostruite, è stata oggetto di molte critiche in passato, ma, senza di essa, quanti sarebbero riusciti a vedere l’imponenza di questo monumento e a comprenderne il valore nel tessuto urbano?
E quanti ricordano che i cavalli di bronzo della basilica di S. Marco a Venezia sono stati sostituiti da copie, ormai da qualche decen- nio? È una copia anche la statua equestre di Marco Aurelio sulla piazza del Campidoglio a Roma, anch’essa ricoverata in museo, e molti oggetti, esposti in mostre temporanee, sono copie perfette di originali fragili o preziosi, che non si spostano quasi più dai musei dove sono conservati. Tra i tanti esempi, ce n’è uno recente: nella bella mostra “Made in Roma”, ai Mercati Traianei che si chiude oggi, sono state esposte le copie dei preziosi oggetti d’argento che costituiscono il tesoro dell’Esquilino, del British Museum di Londra. Assolutamente indistinguibili dagli originali, ma anche questo è un difetto, per i puristi.
La ricostruzione del tempio di Bel e degli altri monumenti distrutti non riguarda però soltanto il dibattito originale/copia, come già detto. Il valore del santuario di Bel, il “Signore”, è enorme: qui sono state messe in luce le più antiche tracce dell’insediamento, risalenti al II millennio a. C.; qui era il luogo dell’identità palmirena; qui è stato costruito nel 32 d. C., all’epoca dell’imperatore Tiberio, il tempio, in forme occidentalizzanti; qui, a partire dal IX-X sec. d. C., è sorto il villaggio in cui la popolazione ha vissuto fino agli anni Trenta del secolo scorso, trasformando il tempio pagano in moschea (era stato anche chiesa cristiana) e salvandolo. Tutto questo rimarrà nella memoria storica, perché il santuario di Bel non è fatto solo di pietra.
L’enorme fascino di Palmira, inoltre, non risiede soltanto nei monumenti che ne hanno fatto una metropoli dell’Oriente romano tra I e III sec. d. C., ma anche nello straordinario paesaggio dell’oasi, incastonata tra le montagne rocciose dell’arida steppa desertica.
Quale sarà il suo futuro, saranno i siriani, e in particolare le autorità preposte alla tutela del patrimonio culturale, a deciderlo, potendo indubbiamente contare su un’ampia collaborazione internazionale. Palmira continuerà ad essere bellissima, sempre e comunque. Malgrado la follia degli uomini.