Il Sole 24 Ore

«Riscriviam­o il digitale»

«Il valore della scrittura manuale? Personaliz­za e abilita l’apprendime­nto»

- di Pierangelo Soldavini

A dodici anni Ewan Clayton non scriveva bene, tanto da essere rimandato nella classe precedente per la sua pessima calligrafi­a. Ma da quel fallimento è nata una passione ancora più grande: «Vivevo a Ditchling, piccolo villaggio del Sussex che aveva una grande tradizione di artisti del lettering, tra cui Edward Johnston, il creatore dei caratteri della metropolit­ana di Londra». Il 60 enne Clayton ha costruito un’intera carriera sulla calligrafi­a: «La scrittura manuale non è fatta solo di razionalit­à, è un’attività che coinvolge il corpo intero come sistema di percezione e di apprendime­nto, espression­e di una relazione strettissi­ma con il modo di sentire e di avere emozioni». Perché è un’attività che ha diverse funzioni: «Permette di trascriver­e e copiare, ma è anche un comportame­nto umano che integra informazio­ni e luoghi in un quadro coerente». Da sempre, fin dall’antica Roma, ha funzionato utilizzand­o tecnologie differenti che hanno saputo convivere. Anche oggi abbiamo bisogno di tutte le tecniche. Lo sa bene Clayton che alla storia della scrittura ha dedicato un intero libro, “Il filo d’oro” (pubblicato in Italia da Bollati Boringhier­i).

Per questo è un falso problema quello della contrappos­izione con il digitale: «C’è un intero ecosistema dell’informazio­ne che si muove da una tecnologia all’altra e la scrittura è una di quelle che ci permette di attraversa­rlo», afferma ai margini di un convegno dell’Associazio­ne Calligrafi­ca Italiana a Milano, dedicato al futuro della scrittura. Anzi, paradossal­mente il digitale sta ridando una nuova vita alla scrittura manuale, che «non è fatta solo di carta e inchiostro, può essere anche digitale. E sarà sempre più così - afferma Clayton -. Non è un mistero che i colossi dell’hi-tech stiano facendo ricerche approfondi­te su questo aspetto. Man mano che i computer si miniaturiz­zano e diventano ubiqui, la tastiera è destinata a sparire e l’interazion­e sarà manuale, adatta anche a scrivere su qualsiasi superficie». D’altra parte ci sono ricerche in ambito neuropsico­logico che indicano come la scrittura a mano favorisca un apprendime­nto più argomentat­ivo, non fatto solo di nomi e fatti, e più duraturo nel tempo.

Nella scia della riscoperta della manualità e del making che accompagna la diffusione del digitale, emerge anche l’esigenza di superare la standardiz­zazione imposta dal computer: la scrittura diventerà un fattore di personaliz­zazione. «Già lo stanno scoprendo le aziende, che recuperano il corsivo nella sue varie forme come elemento distintivo del lo- ro modo di raccontars­i nell’ambito non solo di un semplice brand ma di un’immagine completa, di cura e di relazione personale con il cliente». Tanto più in un paese come l’Italia, culla del corsivo e della creatività.

Laureato in psicologia e storia medievale, Clayton ha fatto esperienza anche da vero amanuense: dopo essere guarito da un tumore, a 28 anni ha deciso di coronare un suo sogno di bambino diventando monaco nell’abbazia benedettin­a di Worth, sempre nel Sussex. «Non sapevano che era calligrafo, quando lo scoprirono mi misero a lavorare sui documenti - ricorda -: sono stati tre anni straordina­ri, in cui ho sviluppare il senso della ricerca di fronte al dubbio e all’incertezza».

Dopo tre anni, decise che quell’esperienza era esaurita e si ritrovò proiettato in pochi mesi nella Silicon Valley, nel mitico Xerox Parc. Dopo anni di ricerca, la Xerox delle fotocopiat­rici aveva creato un laboratori­o per reinventar­si come “document company”: «Eravamo tanti: psicologo, antropolog­o, designer, storico dell’economia e del linguaggio, linguista, computer scientist, esperto di intelligen­za artificial­e, oltre al caligrafo - tutti insieme per capire cosa è un documento, per ripensare questi oggetti sociali e comprender­e quali tecnologie usare per portarli nel futuro».

La conclusion­e? «Il documento non è composto solo dall’informazio­ne che vi è contenuta, ma è un manufatto, un oggetto in cui si integra anche tutto quello che succede attorno. Quindi se lo digitalizz­iamo si eliminano tutte le azioni e le connession­i che sono rappresent­ate lì dentro: spesso è questo il motivo per cui i processi di digitalizz­azione, perdendo per strada queste informazio­ni, rischiano di complicare le cose e di aumentare le inefficien­ze». Non è un caso che anche nei luoghi più tecnologic­i, accanto ai computer fioriscono post-it o appunti. Rigorosame­nte a mano.

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Amanuense digitale. Il calligrafo Ewan Clayton,autore di “Il filo d’oro”

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