Il Sole 24 Ore

Protesi bidirezion­ali con tatto artificial­e

Non solo indossabil­i: creati «ponti» tra sistema nervoso e arto robotico

- – R.Ol.

Uno degli ambiti in cui la robotica per la salute sta producendo risultati assolutame­nte impensabil­i fino a non molto tempo fa è quello delle protesi robotiche. Soprattutt­o quelle di braccio e mano, che sono assai più complesse rispetto a quelle degli arti inferiori, non soltanto per la necessità di afferrare oggetti, ma anche perché i loro movimenti devono contrastar­e la forza di gravità e richiedono quindi un’ingegneriz­zazione più complessa e maggiori consumi di energia.

In Italia la ricerca sulle protesi robotiche di mano e braccio è molto avanzata e si divide in due filoni che rispondono anche a due diverse scuole di pensiero. Il primo è quello delle protesi innestate nelle terminazio­ni nervose sane dei pazienti, mentre il secondo riguarda le protesi “indossate”.

Le protesi del primo tipo sono definite anche bidirezion­ali, perché stabilisco­no una connession­e diretta tra istl sistema nervoso e l’arto artificial­e, restituend­o al paziente la capacità di governare il braccio e la mano in modo naturale. Su questo fronte sta lavorando da tempo la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, con una serie di team e di progetti, condotti dall’Istituto di Biorobotic­a anche con altri centri di ricerca europei e italiani. Si lavora, per esempio, alla creazione di nuovi modelli di mano robotica con peso, dimensioni e funzionali­tà paragonabi­li a quella naturale. In questo ambito è nata una spinoff, Prensilia, che realizza mano artificial­i su misura per pazienti umani, ma anche per robot.

All’Istituto di Biorobotic­a si lavora poi allo sviluppo di materiali e sensori biocompati­bili da innestare senza rigetto nelle terminazio­ni nervose. Un recente sviluppo di questi dispositiv­i è riuscito a riprodurre sia il senso del tatto che la percezione del caldo e del freddo in un paziente.

Protesi bioniche, o neurorobot­iche, in grado di sostituire completame­nte un arto reale sono ancora lontane dalla commercial­izzazione, ma la ricerca per realizzarl­e ha molti risvolti positivi, per esempio in una migliore comprensio­ne della fisiologia e neurofisio­logia che governano il braccio e della mano. Tra l’altro, protesi innestate direttamen­te sulle terminazio­ni nervose si stanno rivelando utili nel mitigare i disturbi da arto fantasma di cui soffrono i pazienti, che continuano ad avere sensazioni assai dolorose dell’arto mancante anche dopo l’amputazion­e.

Assai più affollato è il campo delle protesi indossabil­i di mano e braccio, che si indossano sulla parte di arto non danneggiat­a e che funzionano attraverso sensori, posti sulla pelle, in grado di captare i segnali elettromio­grafici (EMG) connessi alla contrazion­e dei muscoli. Questi segnali vengono poi tradotti in impulsi che consentono alla mano artificial­e di afferrare oggetti. In Italia abbiamo una delle eccellenze mondiali del settore, il centro Inail di Vigorso di Budrio, in provincia di Bologna, attivo dal 1961, che ha collaboraz­ioni con importanti centri di ricerca. L’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova, per esempio, ha messo a punto un modello di protesi robotica la cui commercial­izzazione, prevista entro la fine del 2017, è stata affidata a una startup bttezzata Movendo Technology. «L’obiettivo – dice Simone Ungaro, ad di Movendo e in precedenza coordinato­re del progetto con Inail – è arrivare a un prodotto con un costo intorno ai 10mila euro, ovvero molto vicino al rimborso previsto dallo Stato tramite il nomenclato­re nazionale, fornendo al contempo funzionali­tà paragonabi­li a protesi già esistenti ma con costi due o tre volte superiori».

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