A Tripoli «guerra mediatica» con l’Est
La sfida italiana di riunificare il Paese: aiuti d’emergenza nelle città orientali
pSe veramente esiste, in queste ore, una “guerra” a Tripoli, sembra proprio sia quella si sta combattendo a colpi di comunicati stampa e notizie fatte filtrare da non meglio precisate “fonti privilegiate” di piccoli gruppi o milizie che giocano tutto sul conflitto ancora irrisolto tra il Consiglio presidenziale di Fayez al-Sarraj, sostenuto dalle Nazioni Unite, e il Parlamento di Tobruk guidato da Abdullah al-Thani, di cui il generale Khalifa Haftar rappresenta il braccio armato.
Ma l’Italia, unico Paese occidentale che ha oggi sul terreno ben 300 militari a Misurata addetti all’ospedale da campo e, da pochi giorni, ha riaperto l’ambasciata a Tripoli, punta a unificare il Paese tra Ovest ed Est. A questo scopo, tra pochi giorni, il nostro Governo invierà un carico di medicinali e aiuti di emergenza anche nelle città dell’Est a riprova che il nostro ambasciatore in Libia, Giuseppe Perrone, intende rappresentare l’Italia in tutto il Paese e non solo presso il Consiglio presidenziale di Tripoli guidato da al-Sarraj.
Proseguono, nel frattempo, anche le missioni preparatorie per la messa a punto di progetti di carattere economico e infrastrutturale. Proprio oggi tecnici dell’Enel arriveranno a Tripoli per la messa a punto di un progetto di centrali elettriche nella capitale libica.
Come se non bastasse, tuttavia, la “guerra mediatica” non sembra placarsi. Secondo alcune “fonti” Khalifa Ghwell, l’ex premier libico protagonista nei giorni scorsi dell’assalto ad alcuni edifici governativi a Tripoli (che però erano vuoti e lontani dal quartier generale di alSarraj) «sta lavorando a un’alleanza con il governo di Tobruk» e intende «riconqui- stare Tripoli e formare un esecutivo congiunto con quello guidato da al-Thani». Drammatizzazioni che fonti del governo italiano ridimensionano notevolmente, mentre smentiscono molte delle notizie diffuse nelle ultime 24 ore: a cominciare dal fatto che militari italiani sarebbero addetti alla sicurezza di al-Sarraj.
«Nessun militare italiano è impegnato per la sicurezza del primo ministro Sarraj né agisce come sua guardia del corpo», precisa il ministero della Difesa rilevando che «non c’è alcuna interferenza negli affari interni libici da parte di personale militare italiano, la cui presenza è limitata al contingente che opera presso la missione sanitaria Ippocrate».
Nelle stesse ore il ministero degli Esteri di Tobruk ha bollato la riapertura dell’ambasciata italiana nella capitale libica come «una nuova occupazione» e «il ritorno militare» dell’Italia a Tripoli. Anche in questo caso la risposta di Roma è stata chiara: il governo di Tobruk guidato da al-Thani non è un’entità riconosciuta dalla comunità internazionale e mira solo a creare tensioni attraverso “strumentalizzazioni” che i media possano montare, mentre l’unica autorità legittima e riconosciuta in Libia è il Consiglio presidenziale insediato a Tripoli sotto la guida del premier Fayez al-Sarraj, sostenuto dall’Onu. Il presidente del Copasir, Giacomo Stucchi, ha invece smentito la notizia (diffusa da alcuni organi di informazione e ripresa da M5S) che il direttore dell’Aise, Alberto Manenti, sia stato costretto nei giorni scorsi a fuggire dalla Libia, e ha esortato a evitare «in questa fase di prendere per buone fonti libiche che più volte in passato hanno dimostrato di non essere attendibili».
Tobruk ha poi utilizzato la presenza della San Giorgio per denunciare che «una nave militare italiana carica di soldati e munizioni è entrata nelle acque territoriali libiche». Ma la Marina militare libica ha chiarito che nessuna nave italiana ha violato le acque territoriali libiche: l’unico movimento registrato è appunto «quello della San Giorgio, che è entrata nelle acque territoriali nell’ambito della missione di addestramento concordata tra le forze libiche e quelle italiane».
Più precisamente si tratta della nave ammiraglia della missione europea Eunvafor Med, Operazione Sophia, che già in altre quattro occasioni è entrata nei porti libici solo per accogliere a bordo oltre 70 militari della guardia costiera libica che sulle navi europee (non solo italiane) vengono addestrati da alcuni mesi per imparare a contrastare il traffico di esseri umani ed evitare in futuro che migliaia di migranti trovino la morte a poche centinaia di metri dalle coste libiche, proprio lì dove, senza una richiesta esplicita del Governo Serraj, nessuna nave italiana o europea può operare.
L’unica imbarcazione che di sicuro è entrata in acque territoriali libiche è stata alcuni giorni fa la portaerei russa “Ammiraglio Kuznetsov”, a bordo della quale è salito il generale Khalifa Haftar per discutere i n videoconferenza con il ministro della Difesa russo, Serghej Shoigu, «di lotta ai terroristi in Medio Oriente».
EMERGENZA ECONOMIA Non si ferma la messa a punto di progetti economici e infrastrutturali: tecnici dell’Enel al lavoro su un piano di centrali elettriche a Tripoli