Quando Ciampi puntò a «una parità equa, sostenibile e duratura»
Caro Fabi, tra gli anniversari di questo 2017 sono stati ricordati anche i primi quindici anni della moneta unica europea, soprattutto per indicare che i prezzi hanno continuato ad aumentare anche a causa del tasso di conversione accettato dall’Italia per il passaggio dalla lira all’euro. Non voglio entrare nel merito delle statistiche, anche perché non ho visto paragoni con i quindici o trenta anni precedenti l’euro. Mi chiedo perché nel vertice europeo che ha deciso le parità tra le valute l’Italia non ha puntato i piedi ottenendo un cambio più favorevole. Forse perché si pensava che era più importante partecipare che rischiare di restare fuori dalla porta dopo i sacrifici che erano stati compiuti per rispettare, almeno in parte, i parametri richiesti?
Antonio Merella
Gentile Mirella, quando nel 1998 arrivò a compimento il cammino iniziato con il Trattato di Maastricht del 1992 la fissazione dei tassi di cambio delle monete nazionali nella nuova moneta unica europea non fu, in pratica, oggetto di alcun negoziato. Si era infatti stabilito che l’euro avrebbe preso il posto con un tasso di cambio 1:1 dell’ecu, l’unità di conto virtuale istituita nel marzo del 1979 nell’ambito del Sistema monetario europeo. L’ecu aveva un valore determinato da un paniere di tutte le valute comunitarie ponderate in relazione all’importanza relativa delle economie nazionali in termini di prodotto interno lordo e di commercio intercomunitario. In ecu peraltro, erano già denominati strumenti finanziari emessi sia da operatori pubblici, come la Banca europea degli investimenti, sia dalle banche private.
Di trattativa si può parlare per i Paesi che dopo il 1999 hanno richiesto e ottenuto di partecipare all’euro. La procedura per determinare i tassi di conversione irrevocabili delle monete di Grecia, Slovenia, Cipro, Malta, Slovacchia, Estonia, Lettonia e Lituania passò attraverso l’Ecofin, il Consiglio dei ministri economico-finanziari, sei mesi prima dell’introduzione della moneta unica.
Per tornare al rapporto lira-euro è necessario allora guardare non al 1998, ma a due anni prima, al 1996 quando il Governo italiano chiese il rientro della nostra
moneta nel Sistema monetario europeo (Sme) da cui era uscita per la crisi valutaria del 1992. Lo Sme aveva l’obiettivo di un progressivo allineamento delle valute con la garanzia di cambi relativamente fissi in modo da rendere dapprima più agevoli gli scambi intra-comunitari, riducendo notevolmente il rischio di cambio, spianando successivamente la strada all'adozione della moneta unica.
Ebbene il 24 novembre 1996 la delegazione italiana guidata dall’allora ministro del Tesoro, Carlo Azeglio Ciampi, con Mario Draghi, allora direttore generale del Tesoro, e per la Banca d’Italia, Antonio Fazio e Pier Luigi Ciocca, portò la richiesta di rientrare nello Sme con un tasso di cambio attorno alle mille lire per un marco. I tedeschi puntavano ad un quota inferiore alle 950 lire anche se sui mercati il cambio era attorno a quota 985. Puntiamo, disse Ciampi, a «una parità equa, sostenibile e duratura» e illustrò con passione gli sforzi fatti dal Paese per ridurre il deficit e l’inflazione. L’accordo venne raggiunto dopo otto ore di discussione a quota 990, quota che è poi diventata la base del rapporto lira-euro. Era realisticamente il massimo che l’Italia avrebbe potuto ottenere.
g.fabi@ilsole24ore.com
Le scadenze elettorali in Europa
Il 2017 ci riserverà una dopo l’altra le elezioni in Francia, Olanda, Germania, e forse anche Italia. In questa situazione, l’Europa rimane paralizzata in attesa degli eventi. Ma è mai possibile che i “cervelloni” che hanno propugnato l’Unione europea non abbiano pensato che solo un’elezione contemporanea in tutti i Paesi può effettivamente dare impulso all’azione europea affrancata dalle contingenze dei singoli Paesi? Potrebbe essere questa una soluzione alla permanente paralisi dell’azione politica europea?
Francesco Francica
Milano
Il male del Sud Italia
Il male del Sud Italia è uno solo: la criminalità. Lo Stato intervenga severamente e rapidamente, proprio come fa un esercito in guerra, senza tripli giudizi, senza pastoie burocratiche, senza ricerca di prove che non arrivano mai a nulla, ma sulla base di ragionevoli sospetti; si isolino del tutto non solo i mafiosi, ma anche l’insieme di familiari, parenti, amici collusi con i capo-banda. Tutto il resto sono chiacchere.
Roberto Salmaso