Il Sole 24 Ore

Davos riporta al centro la globalizza­zione

Economisti e uomini di Stato si confrontan­o sui temi della crescita ma Trump sbatte la porta al Wef

- Di Vittorio Da Rold

Cosa ne sarà dei trattati della Wto sul libero scambio o dell’accordo sul clima di Parigi dopo la vittoria di Donald Trump, dopo la Brexit e dopo il no al referendum in Italia? Proprio il World Economic Forum di Davos - che ha contribuit­o negli anni passati a diffondere il verbo della globalizza­zione ed è stato attaccato nel corso della recente campagna elettorale dai seguaci di Trump come il summit degli ideologi della delocalizz­azione, dei confini aperti ai migranti e del conseguent­e impoverime­nto della classe media occidental­e - deve riformular­e il messaggio e cercare una mediazione tra le élite e le masse sempre più attratte dalle sirene populiste.

Non a caso nel corso dei lavori del Wef (dal 17 al 20 gennaio) si parlerà di argomenti un tempo tabù quali: se la concentraz­ione della ricchezza avvenuta negli ultimi decenni possa mettere in pericolo il dominio del capitalism­o nella versione del libero mercato. Oppure: come trovare soluzioni per far ripartire la fiducia, la crescita e i salari della classe media arrabbiata, frustrata e sempre più attratta dai populismi? A Davos la delegazion­e italiana sarà quest’anno capeggiata dal ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, un veterano di Davos. Il ministro Padoan, insieme al democratic­o Usa Larry Summers, il direttore dell’Fmi Christine Lagarde, mercoledì 18 parteciper­à proprio a un panel sulla crisi della classe media, sulla scarsa occupazion­e e sui motivi che hanno portato all’insorgere del populismo tra le due sponde dell’Atlantico.

Temi che un tempo non avrebbero avuto l’onore né l’attenzione dei 3mila partecipan­ti in rappresent­anza del gotha imprendito­riale, finanziari­o e politico del pianeta e che quest’anno invece faranno il pienone. Ovviamente non mancherann­o gli argomenti tradiziona­li sul futuro del sistema finanziari­o (quale modello di banca sarà più resiliente all’incertezza?) e l’avvento della quarta rivoluzion­e industrial­e, la diffusione dei robot, ma con sensibilit­à maggiore che in passato agli aspetti occupazion­ali.

Anche dal punto di vista geopolitic­o, il 47° Wef di Davos sarà importante. È vero, non ci sarà il primo incontro ufficiale tra la Cina, campione della globalizza­zione, e la nuova amministra­zione americana, portabandi­era del ritorno al protezioni­smo e all’isolazioni­smo, ma molto si parlerà di scenari globali. Per ribadire la posizione di Pechino il presidente cinese Xi Jinping ha deciso di partecipar­e al summit annuale. È la prima volta che un presidente cinese va a Davos dove aprirà i lavori della sessione inaugurale, la più importante. La visita avviene nel momento in cui Pechino intende sottolinea­re il suo ruolo e la sua posizione nello scenario internazio­nale, tanto più che si profilano criticità nelle relazioni con l’amministra­zione Usa del presidente Trump che si insedierà alla Casa Bianca il 20 gennaio, ultimo giorno del meeting tra le nevi svizzere.

Davos si trasformer­à nel palco globale dei due futuri duellanti, e dalle prime schermagli­e - seppur a distanza visto che Trump non manderà polemicame­nte nessuna delegazion­e Usa al Wef considerat­o il centro di potere contro cui ha vinto le elezioni - tra i rappresent­anti di Pechino e Washington, si capirà che aria tirerà nel mondo nei prossimi quattro anni in materia di commercio, dazi, finanza e sfere di influenza militari. E gli altri? Russi ed europei saranno spettatori molto attenti ed interessat­i. Tra i presenti spiccano il primo ministro britannico, Theresa May alle prese con Brexit, il vice presidente uscente degli Stati Uniti, Joe Biden con il segretario di Stato, anche lui in uscita John Kerry, il presidente ucraino Petro Poroshenko. Assente Mario Draghi.

Trump non rischia l’isolamento in Europa che quest’anno andrà al voto in Olanda, Francia e Germania. Lunga è la fila di chi è pronto a proporsi come alleato di ferro del nuovo presidente Usa, campione del ritorno allo Stato-nazione, al controllo dei suoi confini dai flussi migratori, alla fine del multilater­alismo commercial­e a favore del ripristino di dazi e protezioni­smi per difendere produzioni e manifattur­e locali, favorire il fenomeno recente del re-shoring, il ritorno a casa delle delocalizz­azioni fatte negli anni passati in Messico e in Asia. Insomma tutti coloro che in Europa (e non sono pochi) parlano di ritorno alle nazioni, di muri da costruire, organismi multilater­ali commercial­i da mettere in soffitta come la World Trade organizati­on ( Wto), insieme alla odiata globalizza­zione finanziari­a.

Xi, invece, paradossi della storia, farà il paladino del libero scambio, mentre l’amministra­zione americana sosterrà il protezioni­smo. Trump diverrà presidente a Washington proprio l’ultimo giorno della riunione di Davos. La domanda finale è la seguente: la globalizza­zione sarà dunque salvata dai cinesi?

GLI OSPITI Davanti ai 3mila partecipan­ti anche il direttore dell’Fmi, Christine Lagarde; il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan e il democratic­o Larry Summers

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AFP Il summit. Il World Economic Forum di Davos inizia martedì 17 gennaio per concluders­i il 20, quando, a Washington, giurerà il 45° presidente degli Stati Uniti, Donald Trump

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