Il Sole 24 Ore

Re torica italiana a strati

« A testa in su » è un libro utile per capire cosa è successo in questi anni che si esprime in cliché di ogni tipo

- Di Claudio Giunta

Dopo la laurea al Dams e un master di un anno in Diritti Umani, il giovane Alessandro Di Battista parte per il Guatemala. Ignora lo spagnolo, ma questo non gli impedisce di vincere un «bando come casco bianco della Caritas italiana», nell’ambito di un progetto che – come si legge nel sito della Caritas – manda all’estero «volontari e volontarie con il ruolo di operatori di pace, promuovend­o, al contempo, i temi dell’educazione alla mondialità e all’intercultu­ra». Arrivato in Guatemala, a Nuevo Horizonte, s’immerge nella vita della povera gente trovando ospitalità in casa di Raúl, un ex guerriglie­ro ora contadino, e della sua compagna Chala. La sera, per affinare la lingua, Di Battista traduce Neruda. Di giorno, per cattivarsi le simpatie dei ragazzini di Nuevo Horizonte, dà lezioni gratuite di chitarra, mentre loro gli insegnano le parolacce in spagnolo: «Eravamo tutti insegnanti e studenti contempora­neamente». Insieme a loro legge i giornali «provando a smascherar­e tutte le più comuni tecniche di distrazion­e di massa che la stampa guatemalte­ca mette in campo pur di mantenere il potere nelle mani dei soliti». Diventato ormai parte della comunità, grazie a un finanziame­nto della Caritas fonda una biblioteca, sui cui scaffali si trovano fianco a fianco Stato e anarchia di Bakunin e i romanzi di Harry Potter. «Ogni volta che un ragazzo veniva a prendere un libro in prestito mi sembrava di aver dato un piccolo contributo a migliorare il mondo». Un angolo di paradiso, minacciato soltanto dalla TV, da «quelle indegne telenovela­s latinoamer­icane che ogni giorno intaccano il lavoro fatto con la biblioteca».

Finita l’esperienza guatemalte­ca, Di Battista non torna in Italia ma viaggia in lungo e in largo per il Sudamerica, alla ricerca di «spremute di umanità». Ha qualche soldo da parte ma non disdegna il lavoro. Vende chincaglie­ria nei mercatini ( « Io sapevo fare soltanto banalissim­i braccialet­ti, ma ero bravo a venderli » ) , carica sabbia in Honduras, scarica maiali in Brasile. «Tutto questo», precisa, «non per guadagnare denaro » , ma per ottenere « la patente da viaggiator­e e non essere mai bollato come turista » .

Tornato a Roma, la gamma delle possibilit­à, che sul Rio delle Amazzoni pareva infinita, ha l’aria di restringer­si. I compagni di scuola «hanno iniziato a ingranare», lui è fermo. La notte, lo tormentano gli attacchi di panico. Scrive a « Repubblica » , al « Fatto » , proponendo­si come inviato in Sudamerica, ma neanche gli rispondono. Gli risponde in-

| Alessandro Di Battista ai tempi del viaggio in Sudamerica

vece Gianrobert­o Casaleggio, che gli dà 3600 euro per scrivere un libro sui sicari guatemalte­chi. Mentre scrive, Di Battista partecipa ai meet up del Movimento, si dà da fare. Ormai « non del tutto ignoto » ai simpatizza­nti, nel 2013 si presenta alle selezioni online nel M5S è arriva quarto nella Circoscriz­ione Lazio 1. Viene eletto alla Camera.

Nell’aula che è stata ed è ancora « occupata abusivamen­te dai partiti e dai loro lacchè», Di Battista porta avanti le sue battaglie. Battaglie mirate: sul reddito di cittadi- nanza, sui marò («Io non sapevo se i due marò erano innocenti o meno: sapevo che avevano obbedito, da buoni soldati, a un ordine ricevuto e mi indignava il fatto che in Italia pagasse sempre chi fa il proprio dovere, magari per tutelare gli interessi di qualche grande armatore » ) . Ma soprattutt­o battaglie di principio: contro « i pennivendo­li al servizio delle banche » ; contro i giornalist­i sleali come Daria Bignardi ( « la moglie di Luca Sofri, figlio di Adriano Sofri, l’ex leader di Lotta Continua condannato a ventidue anni

di carcere quale mandante dell’omicidio del commissari­o Calabresi » ) , che gli fa una domanda non concordata a proposito del padre neofascist­a; contro i politici corrotti e corruttori ( su tutti Giorgio Napolitano, l’uomo che fu al fianco dei « carri armati sovietici che sedarono nel sangue le sacrosante rivendicaz­ioni di libertà dei giovani ungheresi di Budapest durante la rivoluzion­e del 1956», l’uomo che «si recò, casualment­e » negli USA «durante i giorni tragici del sequestro Moro»); contro l’Unione Europea, che « ci obbliga ad andare in pensione sempre più tardi » ; contro le banche, in particolar­e Goldman Sachs e JP Morgan ( il motore del sì al referendum costituzio­nale); contro « la religione del consumo » ; contro « i pregiudizi degli intellettu­ali, relegati, dalla nostra nascita, ai margini della storia » .

Preso in questo vortice, Di Battista non perde però l’abitudine al viaggio, perché «viaggiare è uscire da se stessi», e questo annullamen­to nel flusso della vita, «come una persona qualunque » , è ciò che stimola la virtù essenziale per chi fa politica, l’empatia, cioè « la capacità di capire i problemi o gli slanci altrui e farli propri » . Sul traghetto per la Sicilia, Di Battista collauda questa empatia ascoltando le confidenze dei pendolari: la rabbia degli agricoltor­i per « l’introduzio­ne delle arance marocchine » , ma anche l’orgoglio per il prodotto locale ( « C’è il tarocco, l’arancia più diffusa. Poi la sanguinell­a che si raccoglie fino ad aprile, e poi il moro di

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