Mozart non c’entra con l’Isis
C’è un vero e proprio errore nella nuova lettura del « Ratto dal serraglio » di Mozart, proposta dal regista Martin Kušej, che già provocò qualche scalpore al debutto ad Aix- en- Provence ed ora sta accendendo come una polveriera il Teatro Comunale di Bologna: ed è un errore di prospettiva. Perché il pascià Selim non è un potente dell’Isis. Il cosiddetto cattivo è l’unico in grado di compiere il grande gesto del perdono. Certo, appartiene a un mondo diverso, che anche la Vienna di allora temeva come il nemico più minaccioso. Ma Mozart – forse per esorcizzarlo – lo trasforma in emblema umanistico e illuminato. Gli infligge una sola punizione, simbolica: gli toglie il dono del canto. Selim parla. Kusej, se possibile, lo ascolti. Lentini » ) ; l’ira del pendolare siciliano contro i « monopolisti dei trasporti » ; l’indignazione del pescatore calabrese contro l’Unione Europea, «durissima nei confronti dei pescatori calabresi ma estremamente indulgente con quelli spagnoli » . Viaggiando, Di Battista si scopre uomo tra gli uomini: « Viaggiavo e ascoltavo, sentivo crescere in me il senso di appartenenza alla mia specie: quella umana». All’interno della specie umana, gli italiani si distinguono per solarità ed eroismo ( « In viaggio incontrai decine di eroi » ) , ma anche per un’ingiusta propensione a colpevolizzarsi: « Spesso ce la prendiamo con noi stessi quando occorrerebbe avere la forza di prendere di petto i veri responsabili dei disastri del nostro Paese » .
Questo, a grandi linee, il contenuto di A testa in su . Ma il riassunto non rende l’idea, perché non può trasmettere la voce di Di Battista, che è quella che dà al libro la sua nota caratteristica. Una voce franca, sicura ( « l’unica carriera che davvero mi interessava, e mi interessa ancora, è quella di essere umano » ) , ma talvolta commossa ( « gli esseri umani sono angeli con una sola ala, possono volare solo restando abbracciati » ) ; confidenziale ( « Ora che sono un parlamentare, troverò pace? Mi ricandiderò? Mah, credo che i miei piedi non si raffredderanno mai » ) , ma anche solenne ( « Il vento del cambiamento aspetta il respiro degli uomini per non essere fermato » ) .
A testa in su è un libro importante, che ha un notevole valore di testimonianza. È uno di quei libri che gli storici del futuro non potranno fare a meno di leggere se vorranno capire che cosa è successo in Italia in questi anni. Quanto ai lettori di oggi, troveranno in A testa in su molte ragioni per riflettere non tanto su Di Battista quanto su ciò che ha portato Di Battista ad essere Di Battista, sull’humus che ha fatto fiorire questa pianta: i libri che lo hanno formato, la conversazione e l’esempio del padre destrorso, il Dams, il master in Diritti Umani. L’educazione alla mondialità e all’intercultura.
Infine, gli storici della bêtise vi troveranno un vasto e affascinante campionario. Perché nel non ancora quarantenne Alessandro Di Battista si sono accumulati, strato su strato, decenni – forse secoli – di retorica italiana. In un’Ama ca di qualche tempo fa Michele Serra si domandava, un po’ deluso, come mai Di Battista non fosse del PD o di SEL. Serra aveva ragione, a suo modo, perché nella multi- retorica di Di Battista c’è anche una generosa fetta di retorica gauchiste: la mistica del Popolo Sano e Naturale, che è uno degli stigmi più patetici della mentalità borghese. Ma è solo una fetta. Nel resto della torta c’è la retorica hippy del comunque viaggiare, la retorica alla Terzani del filosofare viaggiando, la retorica cristiana della buona povertà, quella comunitarista che loda l’artigiano e biasima l’industriale, quella terzomondista (gli africani «danzano sul mondo perché sono dominatori del tempo » ) , quella pasoliniana nemica dei consumi e della TV. E c’è infine, ad amalgamare il tutto, l’ingrediente italiano eterno, immarcescibile, anzi sempre più verde e vivo a mano a mano che passano gli anni: Gabriele D’Annunzio.
Alessandro Di Battista, A testa in su. Investire in felicità per non essere sudditi, Rizzoli, Milano, pagg. 252, € 17
docenti al “Tasso” di Latino e Greco la prima e di Matematica e Fisica la seconda. «Si può sospettare - scrivono nell’introduzione - che vi sia una relazione tra l’eliminazione del testo di Euclide dalle scuole dell’Occidente, avvenuta nel corso del Novecento, e l’indebolimento, generalmente riconosciuto, delle capacità di ragionamento e argomentazione degli studenti (ed ex studenti)». Figlio di uno degli ambienti intellettuali più attivi e stimolanti dell’intera storia umana, l’Alessandria dei primi Tolomei, fondatori della celeberrima Biblioteca, Euclide con i suoi Elementi ha scritto in età ellenistica quello che per due millenni sarebbe divenuto il testo base dell’insegnamento scientifico e il modello di ogni trattazione deduttiva rigorosa in ogni ambito del sapere. Proprio le caratteristiche originali che distinguono quest’opera da autori precedenti che pure avevano sottolineato l’importanza delle dimostrazioni (come Pitagora, Zenone e Platone) sono preziose per il rinnovamento dell’insegnamento nella scuola di oggi. La novità degli Elementi è duplice. Da un lato consiste nella costruzione di una struttura unitaria capace di ricondurre le catene dimostrative preesistenti a un piccolo numero di premesse individuate esplicitamente. L’importanza di questa architettura logica sarebbe stata capita e apprezzata molto tardi, con l’avvento delle geometrie non-euclidee nel Settecento e dell’assiomatizzazione della matematica ottocentesca e novecentesca, da Peano a Hilbert fino al gruppo francese di Bourbaki. Questi autori però hanno finito per abbandonare, e persino denigrare, il secondo aspetto degli Elementi, altrettanto importante, «che risiede nel rapporto, limpido ed esplicito, fra la teoria geometrica e la pratica dei disegni con riga e compasso». In Euclide - al contrario che nei bourbakisti, il cui ambizioso progetto educativo è fallito per eccesso di astrazione - «i concetti teorici così generati mantengono naturalmente un chiaro rapporto con gli oggetti concreti da cui sono stati astratti (e ciò garantisce l’applicabilità della teoria), ma non possono essere confusi con essi». Ciò ha un enorme importanza anche per i fini educativi odierni e si traduce in una piccola frase che troviamo spesso in questa nuova, traduzione del testo. Abituati a leggere, a conclusione delle dimostrazioni, «come si doveva dimostrare», qui invece spesso leggiamo: «come si doveva fare».