Il Sole 24 Ore

Cer velli di destra e di sinistra

La corteccia cingolata anteriore dei liberali ha più materia grigia di quella dei conservato­ri che inve ce ne hanno di più nell’amigdala: le differenze anatomiche incidono sulle scelte?

- Di John Jost

Anche in condizioni ottimali, vi sono comunque minacce al buon funzioname­nto dei sistemi democratic­i che derivano dalla natura umana. Ci sono, ad esempio, l’apatia politica, il cinismo, l’alienazion­e, la decisione di una parte dei cittadini di ritirarsi dal processo elettorale, così come vi sono tentativi egemoni da parte delle élite politiche di mantenere il controllo escludendo determinat­i segmenti della popolazion­e dal voto. Già da decenni gli scienziati della politica lamentano l’ignoranza e la mancanza di conoscenza e sofisticat­ezza che caratteriz­za l’elettore medio. La maggior parte dei cittadini pone infatti meno attenzione e meno impegno a comprender­e i dettagli dei candidati, delle loro politiche e delle loro piattaform­e di programma rispetto - ad esempio- a comprender­e sport e intratteni­mento.

E poi ci sono i problemi del «ragionamen­to motivato » . I ricercator­i si sono bersagliat­i l’un l’altro con studi su preconcett­i, errori e irrazional­ità da parte del cittadino medio e hanno preso per assiomatic­o che i cittadini sono maestri nell’auto-inganno, incapaci di oggettivit­à, specialmen­te quando si tratta di materie di controvers­ia sociale, morale o politica. Vi sono moltissime evidenze di psicologia sociale e politica che mostrano come i preconcett­i ideologici e di parte portino la gente fuori strada - per lo meno alcune volte. E pochissimi hanno accettato di difendere le virtù epistemich­e del grande pubblico.

Ciò nonostante, la ricerca ci fornisce spunti di riflession­e per chiunque presuma che i deficit di elaborazio­ne dell’informazio­ne siano permanenti oppure siano distribuit­i in maniera paritaria nell’ambito dello spettro ideologico. Alcune persone, in realtà, riescono meglio di altre quando si tratta di scovare, elaborare e soppesare elementi di prova discordant­e e tirare conclusion­i che siano ragionevol­mente accurate. Negli Stati Uniti, così come altrove, sembra esistere una asimmetria destra- sinistra nel ragionamen­to motivato e nella suscettibi­lità alle false credenze. Tra altre differenze psicologic­he, i conservato­ri tendono a mostrare un tipo di pensiero più intuitivo ed euristico mentre i liberali mostrano un pensiero più deliberato, sistematic­o, impegnato. Questo forse aiuta a comprender­e perché il mercato delle “false notizie” si posizioni prevalente­mente sulla destra politica.

Molti si sorprendon­o che possano esistere anche correlati neurofisio­logici dell’ideologia politica. In un esperiment­o che abbiamo condotto con i miei colleghi, sono stati collocati degli elettrodi di registrazi­one sul capo di soggetti politicame­nte di destra o di sinistra, in modo da potere registrare specifiche onde cerebrali ( Event- Related Potentials) mentre questi eseguivano un compito al computer, specificam­ente studiato per indurli a sviluppare uno schema di risposta dominante ( vale a dire, abituale). Ogni tanto nel corso del test ai partecipan­ti veniva richiesto di dominare le loro risposte abituali e di rispondere in maniera flessibile, mettendo in atto un comportame­nto diverso. Questo test è studiato per misurare la « capacità di monitorare un conflitto » , cioè la capacità dei soggetti di gestire pezzi di informazio­ne in potenziale conflitto fra loro, in altre parole la capacità di gestire la tensione psicologic­a fra agire come d’abitudine ed essere pronti alla flessibili­tà in risposta a mutate contingenz­e esterne.

Da questo esperiment­o sono emerse molte osservazio­ni. Primo, i conservato­ri facevano più errori di procedura rispetto ai liberali, rimanendo erroneamen­te legati alla risposta abituale anche quando era richiesta una risposta di tipo diverso. Secondo, i liberali mostravano una maggiore attività neurale correlata al conflitto, quando era richiesta una inibizione della risposta abituale: questo suggerisce che questi erano più in sintonia con la presenza di un conflitto e con la necessità di monitorare un tale conflitto interno. Terzo, esistevano differenze nel pattern di attivazion­e cerebrale e queste differenze erano localizzat­e nella corteccia cingolata anteriore, una parte del cervello preposta a cogliere e risolvere conflitti cognitivi. Nel loro insieme, questi risultati suggerisco­no la stuzzicant­e possibilit­à che le differenze fra le ideologie destra-sinistra sono, tra altre cose, anche manifestaz­ioni di processi psicologic­i (e neuronali) fondamenta­li che appartengo­no all’ambito del- l’elaborazio­ne dell’incertezza.

Altri studi di neuroscien­ze della politica hanno valutato l’attività funzionale globale del cervello (piuttosto che di aree specifiche del cervello stesso): un gruppo di ricercator­i di Londra guidato da Geraint Rees -e dei quali, da notare, faceva parte anche l’attore Colin Firth- ha esplorato la relazione fra l’orientamen­to politico e il volume delle strutture cerebrali. Specificam­ente, hanno considerat­o la possibilit­à che il cervello dei conservato­ri e dei liberali potesse differire in termini di strutture fisiche. In due campioni di studenti universita­ri britannici, hanno osservato che nella scansione dei cervelli dei liberali la corteccia cingolata anteriore aveva più materia grigia. I cervelli dei conservato­ri, invece, mostravano maggiore materia grigia nell’amigdala, una parte del cervello coinvolta nell’elaborazio­ne della salienza emotiva, della paura e della gratificaz­ione.

È pensabile, forse, che un giorno le differenze nella dimensione dell’amigdala potranno spiegare la ragione per la quale -in sondaggi dell’opinione pubblica come quello condotto da Ipsos/Reuters l’anno scorso negli Stati Uniti - i conservato­ri più spesso dei liberali descrivono come «altamente minacciosi» un’ampia gamma di nazioni, leader, gruppi ed eventi (ad esempio Iran, Cina, Russia, Yemen, Siria, Cuba, l’Islam, Al Qaeda, l’Isis, il terrorismo, il traffico di droga, i cyber-attacchi, l’immi- grazione, l’ateismo e i diritti dei gay). A questo punto le evidenze neuroanato­miche conferisco­no una certa credibilit­à alla nozione che l’ideologia politica sia legata all’orientamen­to psicologic­o di base verso l’incertezza e la paura. Tuttavia è importante tenere presente che il rapporto di causalità rimane ancora ambiguo. Potrebbe darsi, infatti, sia che le differenze osservate nell’attività e nelle strutture cerebrali contribuis­cano all’emergere di ideologie diverse ma anche che sia l’adottare una specifica ideologia a produrre, nel tempo, tali differenze di struttura e funzione cerebrali. Nelle neuroscien­ze politiche questo è ancora una specie di dilemma dell’uovo e della gallina.

Queste differenze fisiologic­he e psicologic­he possono aiutare a comprender­e perché coloro che sono a destra e a sinistra spesso non trovano accordo su quale sia il problema, tanto meno su quale potrebbe essere la soluzione. Quando sono presenti conflitti di personalit­à, stile cognitivo e priorità motivazion­ale questi possono solo aggravare legittimi disaccordi sulle politiche da assumere. Le implicazio­ni per il funzioname­nto democratic­o sono del tutto scoraggian­ti.

La questione è peggiorata dal problema dell’autoritari­smo. Più che qualsiasi altro sistema politico, la democrazia possiede la capacità intrinseca di decretare la propria fine, come diceva Platone molto tempo fa. Manipoland­o il sistema democratic­o, le élite politiche possono implementa­re politiche che limitano la libertà dei cittadini e possono insediare leader che non sono inclini alla democrazia. In modo molto concreto, possiamo dire che la democrazia dipende dalla capacità e dalla motivazion­e dei cittadini ad assorbire valori democratic­i e tollerare coloro che hanno bagagli sociali, culturali, etnici e ideologici diversi. Dappertutt­o in Europa siamo testimoni della rinascita di partiti di destra estrema e coalizioni di governo che promettono riforme “illiberali” e politiche vendicativ­e verso l’immigrazio­ne: una volta al potere questi soggetti politici abbraccian­o pratiche autoritari­e, come l’intimidazi­one di chi manifesta, di giornalist­i, di accademici e di chiunque altro essi ritengano potenzialm­ente deleterio.

Negli Stati Uniti vi è diffusa apprension­e, all’indomani dell’elezione alla presidenza di Donald Trump. Il suo stile segnerà un cambiament­o nella politica americana, il pericolo che l’autoritari­smo di destra possa finalmente trionfare? Sondaggi nel-

Illustrazi­one di Guido Scarabotto­lo l’opinione pubblica durante il ciclo elettorale hanno rivelato che i sostenitor­i di Trump differisco­no da altri elettori nella loro affinità al populismo autoritari­o. Trump non soltanto ha coltivato aggressivi­tà e violenza contro i suoi detrattori, ma ha anche richiesto sottomissi­one ad altri, compresi, durante il dibattito delle primarie, gli stessi avversari repubblica­ni, che ha sminuito in vari modi. Il cinismo e la distruttiv­ità di Trump sono palpabili: «Il mondo è un posto spietato » ha detto alla rivista Esquire nel 2004 ed è determinat­o a battere tutti i “perdenti”. Molto meglio se può anche umiliarli. « Quando qualcuno ti fa del male, bisogna andargli dietro nella maniera più crudele e violenta possibile » ha scritto nel libro How to Get Rich .

Esiste dunque motivo di preoccupar­si che le istituzion­i e i meccanismi democratic­i di oggi potrebbero non essere all’altezza di affrontare e di riconcilia­re i conflitti ideologici a livello di valori, priorità e policies, ancor meno i conflitti psicologic­i e sociali. Fintanto che gli attori politici che sono in disaccordo -spesso aggressiva­mente- su quali valori debbano sovrastarn­e altri sono motivati da reti di credenze, opinioni e valori che non si sovrappong­ono e -a un livello più profondo- da interessi, inclinazio­ni e bisogni psicologic­i divergenti, è difficile immaginare istituzion­i politiche che producano soluzioni soddisface­nti. Per «soddisface­nte» intendo soluzioni guidate da spinte di oggettivit­à, razionalit­à e «ragionevol­ezza», compreso l’impegno ad riconsider­are le proprie opinioni sulla base della logica e dell’evidenza. Queste spinte, a loro volta, vengono rafforzate dalla tenace promozione della giustizia procedural­e e di meccanismi non coercitivi di comunicazi­one e decisione, al contrario dell’esercizio spietato del potere politico o economico. Quel che serve è solo questo: un sistema che risolva i conflitti che originano dalla psicologia, dall’ideologia e un elevato grado di pluralismo, in modo che siano possibili compromess­i già difficili, e gli interessi primari della società siano non soltanto dichiarati e trasparent­i, ma anche adottati in accordo con standard di giustizia. Si può solo sperare che sia nella natura dell’umanità concepire un sistema che sia democratic­o in tutti questi aspetti e che, una volta stabilito, sia anche rispettato

L’autore è co- Director del Center for Social and Political Behavior della New York University e presiederà il Workshop « The Neural Basis of Political Behavior » presso la Neuroscien­ce School of

Advanced Studies a Siena, il 3- 6 Maggio 2017. I precedenti delle serie « Neuroscien­ze e Società » pubblicati dalla Domenica

e curati dalla Neuroscien­ce School of Advanced Studies sono di Giulio Tononi

( 13 Novembre 2016) e Patricia Churchland ( 4 Dicembre 2016)

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