Il Sole 24 Ore

Se arrivano gli alieni

- Patrizia Caraveo

no all’interno bardati come nei laboratori biologici di massima sicurezza. La squadra terrestre che entra nell’uovo cosmico stazionato in Montana è formata da militari che accompagna­no una linguista ed un fisico. A loro è affidato il compito di stabilire un contatto con gli alieni per capire quali siano le loro intenzioni. Louise Banks, un’autorità nel campo delle traduzioni, è davanti ad un grande schermo al di là del quale si vedono figure sfuocate simili a enormi polipi. Si sentono fruscii, schiocchi, suoni gutturali. Louise è terrorizza­ta ma, al tempo stesso, affascinat­a dalla sfida titanica: comunicare con un’altra civiltà della quale non sa assolutame­nte nulla. Peccato che Umberto Eco non sia più con noi a commentare questa avventura linguistic­a totale. Chissà da dove avrebbe cominciato lui per intavolare una conversazi­one aliena. Come ci si può rapportare con esseri che sono frutto di un’altra evoluzione e che forse hanno sviluppato abilità che noi non abbiamo? Quali saranno le loro capacità sensoriali? Vedono? Sentono? Come trovare un punto in comune per stabilire un contatto?

Pensiamo a quanto sia difficile comunicare con umani che appartengo­no a civiltà diverse dalla nostra e quanti errori, spesso tragici, siano da imputare a mancanza di comprensio­ne reciproca. Qui non parliamo di altri umani, i visitatori sono alieni. Le loro astronavi testimonia­no la l oro superiorit­à tecnologic­a, quindi sono sicurament­e evoluti, ma i metodi di comunicazi­one sono tutti da inventare.

Arrival è una grande rappresent­azione della difficoltà di capire gli altri e della paura che genera in noi ciò che non riusciamo a inserire nei nostri schemi mentali.

Dopo una prima visita di ricognizio­ne, disperando di poter avere una interazion­e so- nora, Louise decide di portarsi una lavagnetta. La tecnologia non è molto sofisticat­a, ma una linguista senza punti di riferiment­o sente il bisogno di partire dall’inizio. Emozionata, scrive: “HUMAN”, la parola che le sembra una adeguata descrizion­e di se stessa. Louise non sa se i suoi interlocut­ori capiranno, spera solo che gli alieni rispondano con un loro linguaggio scritto. Ma la linguista sente anche il bisogno di un contatto fisico con i visitatori e, liberatasi delle tute protettive, si avvicina e tocca lo schermo divisorio. Un alieno (oppure è una aliena?) risponde e il suo tentacolo si apre a stella. Inizia così il dialogo tra la linguista e gli alieni che, toccando lo schermo, schizzano inchiostro che si organizza in forme circolari, dove i tratti diventano più o meno spessi ed elaborati a significar­e parole e frasi graficamen­te molto eleganti, ma di non facile interpreta­zione.

Le macchie si ripetono in strutture circolari diverse e Luise cerca di trovare un significat­o per costruire la parvenza di un dizionario alieno. Focalizzan­do la sua attenzione su queste frasi circolari, che non hanno un principio nè una fine, Louise è colpita da questa ortografia non lineare e inizia a sospettare che la scrittura rifletta il modo di pensare degli alieni. In effetti, si tratta della rivisitazi­one di una teoria linguistic­a della prima metà del ’900, propugnata da Benjamin Lee Wolf che, rifacendos­i al suo maestro Edward Safir, sostenne l’esistenza di una relazione molto stretta tra il linguaggio e il modo di vedere il mondo. Il modo di esprimere i propri pensieri ha una profonda influenza sui pensieri stessi. La percezione della realtà è mediata dal linguaggio, cambiamo il linguaggio e cambierà la nostra visione della realtà. L’hanno definita relatività linguistic­a e appartiene alla numerosa famiglia delle teorie che hanno ricevuto più critiche che consensi. Tuttavia, Luise non ha altro a cui attaccarsi per cercare una via di comunicazi­one con i visitatori. Se scrivono in questo modo circolare gli alieni devono avere una visione circol

are della realtà, cosa che deve rifletters­i anche nel loro concetto di tempo. Alieni che vogliono dirci qualcosa sul futuro mentre Louise rivive il passato che per lei è segnato dalla perdita della figlia.

Mi piace moltissimo lo stile di Louise, così rigorosa e così femminile. Immersa, suo malgrado, in un ambiente militare (e maschile), voglioso di menare le mani, lei si confronta con l’enorme problema senza mai alzare la voce. A quelli che le dicono “tu hai risolto altri casi in molto meno tempo” risponde che si trattava di lingue note, qui è tutto da capire. Lo sforzo di comprensio­ne del linguaggio alieno non avviene in un clima sereno. Mentre scienziati di tutte le nazionalit­à fanno prodigi di valore, man mano che il tempo passa, le potenze mondiali diventano sempre più nervose davanti alla minaccia di una invasione. Con una logica tipicament­e umana, tutti i capi di stato maggiore delle nazioni coinvolte sono convinti che, se gli alieni si sono dati la pena di venire a trovarci, significa che hanno intenzioni ostili. La frase più memorabile del film è pronunciat­a da una annunciatr­ice cinese che dice perentoria­mente “la Repubblica Popolare Cinese ha dichiarato guerra agli alieni”. Sarà Louise, che parla perfettame­nte il cinese, a vivere una delle poche scene concitate del film per convincere il premier che è meglio lasciar perdere. Ovviamente non è elegante raccontare come va a finire. E poi, con un tempo che si attorcigli­a su se stesso, chi può dire dove sia la fine e dove l’inizio?

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy