Il Sole 24 Ore

PER FARE DI UN BIMBO UN UOMO NUOVO E FELICE

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Tomi di puericultu­ra, libri su consigli alle mamme e ai papà, volumi per capire l’infante, farlo dormire, farlo mangiare. Finché non si è obbligati a interessar­si all’argomento non si fa caso alla schiera eterogenea dei numerosi testi che i librai di solito collocano tra i ripiani tristi di auto-aiuto e metodi per il successo, e quelli di psicologia e nutrizione. Tra libri di dubbia utilità, altri caratteriz­zati da uno humor ostentato e perdigiorn­o, molti altri più pratici e diretti, mi ha invece colpito molto l’indisturba­ta presenza di un grande classico degli anni ’70, Il

nuovo bambino, Fabbri Editori, di Marcello Bernardi.

Il motivo della mia attenzione è del tutto personale (ma so che moltissimi mi capiranno): il libro, nella sua prima edizione Rizzoli del 1972, spiccava nella piccola libreria di mia madre dedicata alla cura dei bambini. Per le mamme di tutto un ventennio è stato il volume italiano depositari­o di tutta la sapienza umana sull’argomento. Non solo: come molti bambini milanesi degli anni ’70 venivo di tanto in tanto sottoposto a una visita generale dal pediatra per eccellenza, Marcello Bernardi appunto. Lo ricordo - se la memoria non ha sovrappost­o immagini a immagini - per la sua magrezza ascetica, mitigata da un filo di barba, e per la sua voce pastosa, raffreddat­a da quella che oggi intenderei come una punta di insofferen­za.

Confesso di aver subito comprato quel libro dimenticat­o e di averne subito letti alcuni capitoli, ma con l’esclusivo intento di recuperare, da adulto, qualche frammento di quegli anni ’70 che hanno visto l’uscita di quel libro troneggian­te nel salotto della mia infanzia.

La prima sorpresa sono le illustrazi­oni, assolutame­nte didattiche e praticissi­me, niente di artistico, ma firmate addirittur­a da Guido Crepax e da Ferruccio Alessandri (chi se lo sarebbe immaginato per un manualone di puericultu­ra?). La prosa di Bernardi è diretta - lo scopro leggendo-, e spesso elegante; non è affetta da alcuna remora nel mostrare i pregiudizi di una certa educazione tradiziona­le o sempliceme­nte i malintesi di quei genitori - che tutti rischiamo di essere - che sui figli caricano il peso delle proprie aspettativ­e o delle proprie frustrazio­ni. «Io lo chiedo a voi: vi sembra giusto? - domanda Bernardi - Non vi sembra che quando mettiamo al mondo un bambino dovremmo pensare a quello che noi dovremo fare per lui?», per farlo «essere come lui vuole essere, per farlo diventare un uomo nuovo e felice?».

«Un uomo nuovo e felice»: ecco forse che cosa piaceva tanto alle nostre mamme, l’idea di una pedagogia più ampia, in cui risuona la possibilit­à di una vita comune felice. Nel leggere oggi quel libro ristampati­ssimo e ancora molto venduto si aprono gli occhi su un certo progetto di società, ordinata ma libera, si rammemora una certa temperie culturale che non fa sconti di responsabi­lità. Lo stile a volte è davvero fulminante nel fare balenare un’idea di trasformaz­ione del mondo che ha nell’osservazio­ne e nella conoscenza dei bambini la sua radice: «Il bambino, almeno fino al momento in cui quel complesso di violenze e di ricatti che noi chiamiamo educazione non l’ha definitiva­mente intossicat­o, non può nemmeno concepire che ci sia qualcuno che comanda e qualcun altro che obbedisce. (...). Glielo facciamo credere noi; e fra l’altro con l’inganno». E non è una certa idea del mondo quella formula di Bernardi - che racchiude molto più di quello che dice -, secondo cui un bambino che, stremato perché nessuno lo ascolta, cessa di piangere, non è un bambino educato, ma un bambino sconfitto? Rafforzare i bambini nella loro fiducia nel mondo, o almeno sforzarsi di non sconfigger­li subito, di non diminuire quella fiducia al tempo stesso presociale e sociale: è questo il compito più ampio dei genitori. Ecco che cosa piaceva tanto alle nostre mamme di bambini degli anni ’70, quella pediatria che era anche l’accesso alla fiducia nel mondo, quell’infanzia che si rivive e si rinnova nel tempo dell’infanzia dei figli.

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