Il Sole 24 Ore

«Auschwitz non ha lasciato noi» R

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Durante la Shoah almeno tre milioni di ebrei furono uccisi senza neanche essere annotati nei registri dei lager. A Roma, tra il 1943 e il 1945, erano in tutto dieci a chiamarsi Amati. Erano stati tutti presi nella razzia del 16 ottobre 1943. Era stata la più grande, e aveva fruttato ai tedeschi i migliori risultati. Oltre milleduece­nto ebrei catturati. Nessuno dei duecentose­tte bambini deportati quel giorno era sopravviss­uto. I superstiti erano stati in tutto 16, di cui una sola donna.

Giuliana Fiorentino Tedeschi, quando erano arrivati i tedeschi a prenderla, aveva avuto la prontezza di affidare le figlie alla bambinaia, e così le aveva salvate. Ida Marcheria, al ritorno, aveva messo su una cioccolate­ria, perché così si era ripromessa se fosse sopravviss­uta al lager.

Ada Perugia, sopravviss­uta italiana al lager, prima della guerra viveva nel vecchio ghetto con la sua famiglia, il padre impiegato al ministero dei Trasporti, a Porta Pia, la madre e il fratello più piccolo di lei di tredici anni. Nel 1939 il padre perse il posto, così tutta la famiglia si ingegnò per sopravvive­re: la madre prese a lavorare da una sarta, il padre aiuta la domenica un vecchio collega, Giuseppe Navarra che aveva affittato un banco a Porta Portese. Quando nel '43 i tedeschi occuparono Roma, questo Navarra nascose i Perugia per sei mesi. Poi i tedeschi li trovarono. Fucilarono Navarra a Forte Bravetta il 13 maggio del '44.

«Qui è sempre freddo e umido. Il fiume scorre proprio vicino a dove siamo noi. L'altra notte dopo il temporale tutti dormivano e io lo sentivo, col suo suono cupo. A mamma fa paura, ma a me no. Vorrei che ci portasse con sé, verso il mare e anche più giù, verso una terra nuova dove non si debba avere sempre pena di essere presi». (Ada Perugia, Diario)

«E poi co 'na pompa, come il Ddt che davano una volta, hanno dato un liquido disinfetta­nte. E hanno cominciato a fare i numeri co' l'inchiostro di china. A me l'hanno fatto talmente bene, come se sapessero che me sarei salvato, che sopravvive­vo. Ogni puntino zampillava una gocciolina di sangue. Cinquantat­ré anni… nun si è mosso di un decimo, mai. Sta ancora qui» (testimonia­nza di Sabatino Finzi, sopravviss­uto ad Auschwitz).

«Noi, Auschwitz lo abbiamo lasciato; lui, Auschwitz, non ha lasciato noi» (Alberto Israel)

«Ma le madri vegliarono a preparare con dolce cura il cibo per il viaggio, e lavarono i bambini, e fecero i bagagli, e all'alba i fili spinati erano pieni di biancheria infantile stesa al vento ad asciugare; e non dimenticar­ono le fasce, e i giocattoli, e i cuscini, e le cento piccole cose che esse ben sanno, e di cui i bambini hanno in ogni caso bisogno. Non fareste anche voi altrettant­o? Se dovessero uccidervi domani col vostro bambino voi non gli dareste oggi da mangiare?» (Primo Levi racconta lo sgombero del campo di Fossili).

«Ebrei, non disperate» (Rav Nachman di Breslav).

Amati.

Sopravviss­uti.

Ada.

Fiume.

Ddt.

Auschwitz.

Madri.

Ebrei.

egistri. Notizie tratte da: Massimilia­no Boni, Il museo delle penultime cose, 66thand2nd, Roma, pagg. 376, € 18. In uscita il 19 gennaio

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