La Torre di Pisa pende e ruota
La lezione di Settis al Palazzo Ducale di Genova rievoca l’appassionante storia del salvataggio del campanile nel 2001
Per parlare della Torre di Pisa ho una specifica ragione professionale: per undici anni (dal 1990 al 2001) sono stato uno dei 14 membri di un Comitato internazionale i ncaricato dalla Presidenza del Consiglio di mettere in sicurezza la Torre. Incarico che comportò studi molto accurati ma anche un delicato intervento, che ebbe per effetto la sensibile riduzione della pendenza della Torre.
La Torre di Pisa è uno dei monumenti più famosi non solo d’Italia, ma del mondo. E tale fama è dovuta in primo luogo alla sua pendenza, e ogni tanto capita di incontrare qualcuno che sia convinto che questa caratteristica tanto singolare fu progettata appositamente, per incuriosire o comunque per dare alla Torre un aspetto particolarissimo. Naturalmente non è così.
La Torre, che ci appare oggi come un monumento di mirabile unità ( e anche per questo divenuto una delle massime icone dell’Italia, e del Medioevo europeo), fu costruita nello spazio di due secoli: i primi quattro ordini ( o “piani”) in soli cinque anni, dal 1173 al 1178. Seguì una lunga interruzione di quasi un secolo, fino al 1272, quando i lavori furono ripresi, e in sei anni portati fino a tutto il settimo ordine ( cioè tutta la torre, esclusa la cella campanaria che è alla sommità). Nuova interruzione per circa 80 anni, e infine dal 1360 al 1370 l’ultima fase costruttiva, quella della cella campanaria.
La documentazione che abbiamo è sufficiente a stabilire le fasi costruttive della Torre con sufficiente certezza, ma non a documentarne le ragioni. Nei cantieri delle cattedrali, il lavoro si interrompeva spesso per mancanza di fondi, ma in questo caso la ragione primaria a quel che sembra fu un’altra: la Torre cominciò a pendere, e nel timore che potesse cadere si decise di arrestarne la costruzione, che fu poi ripresa, con vari accorgimenti, dopo un secolo la prima volta, 80 anni la seconda.
Mescolando dati documentari, rappresentazioni artistiche e indizi dedotti dalla stessa Torre, possiamo dire che dopo la prima fase costruttiva (1173-78) la Torre prese a inclinarsi leggermente verso Nord (cioè nella direzione opposta a quella verso cui pende adesso). Durante la seconda fase della costruzione (1272-1278), nella quale si cercò di compensare quella pendenza, l’effetto finale fu di far pendere la Torre verso Sud; e forse per questo non si volle subito costruire la cella campanaria; quando finalmente la si costruì (ancora una volta cercando di compensare la pendenza), l’inclinazione verso Sud riprese, come attestano alcune rappresentazioni e le indicazioni di Vasari.
Ma perché la Torre si è messa a pendere? La pendenza dipende dal suo enorme peso ma anche da un fatto che gli antichi costruttori non sapevano. Il geografo greco Strabone, parlando di Pisa alla fine del I secolo a. C., dice che proprio in questa città c’era la confluenza di due fiumi, l’Arno e l’Auser. Dalle foto aeree risulta che l’Auser (ora Serchio) cambiò corso molte volte, ma che in origine, per confluire nell’Arno, passava a pochi metri da dove, secoli dopo, fu costruita la Torre. Scavi nella Piazza, necessari prima di fare qualsiasi opera di consolidamento, hanno provato che in quell’area vi fu un insediamento etrusco (con importazione di ceramica da Atene classica) e poi romano. Conosciamo ormai benissimo la struttura del sottosuolo della Torre, una sequenza di strati tipica di una pianura alluvionale, in cui si alternano e si mescolano sabbia e argilla: è su questa situazione, che ha una sua peculiare “elasticità” che la costruzione della Torre si è impiantata. I suoi movimenti nel corso del tempo rispondono alle sollecitazioni più varie, dai terremoti al variare delle stagioni e della temperatura, e perfino al vento, vanno sempre caratterizzati come una continua interazione fra la Torre e il suo sottosuolo.
Dal 1911 la pendenza della Torre viene misurata regolarmente secondo criteri coerenti, e dunque da allora possiamo giudicare il suo “stato di salute”. Dal 1991 al 1993 ( quando il Comitato per la salvaguardia della Torre aveva appena cominciato i suoi lavori) l’inclinazione della Torre ha continuato a crescere inesorabilmente, raddoppiando la velocità dopo gli anni Trenta. Nel 1990, la pendenza cresceva di 6 arcosecondi l’anno, corrispondenti a un movimento al culmine di 1,5 mm ogni anno.
Per molto tempo si pensò che questo mo- vimento fosse dovuto al fatto che dal lato Sud la Torre tendesse ad affondare di più nel suolo. Ma indagini accuratissime hanno appurato un fatto a prima vista sorprendente: la Torre tende a ruotare intorno a un centro di rotazione posto più o meno all’altezza della prima cornice. Questo conduce alla condizione definita dai geotecnici leaning instability, ma comporta soprattutto una conseguenza importante: la Torre interagisce, nel suo movimento di inclinazione, con lo strato di sabbie dei primi 10 metri sotto le sue fondazioni, e non con l’argilla sottostante. È sulla base di osservazioni come queste che si è potuto procedere a correggere l’inclinazione della Torre, come ora vedremo.
Le valutazioni sulla “aspettativa di vita” della Torre di Pisa non sono concordi, ma il fatto che la pendenza crescesse di continuo era una costante ragione di allarme, accresciuto dal crollo improvviso della Torre civica di Pavia nel 1989. Anche dopo il crollo del campanile di San Marco nel 1902 era nato un simile allarme (che portò alle misurazioni regolari a partire dal 1911); ma dopo la caduta della Torre civica di Pavia il governo di allora ( presieduto da Andreotti) decise di costituire un comitato internazionale, che avesse l’autorità e i mezzi finanziari dal bilancio dello Stato ( rifiutando sponsorizzazioni e senza andare in cerca di fondi privati: l’Italia di allora era meno ricca di oggi, ma più orgogliosa) per risolvere il problema.
La composizione multidisciplinare e internazionale del Comitato e la sua piena responsabilità sul progetto (inclusa la gestione del relativo bilancio) sono le principali ragioni del successo dell’iniziativa. Nel corso del tempo, numerose commissioni furono all’opera intorno alla Torre (il Comitato di cui stiamo parlando è stato il 17° della serie), ma tutte si dedicarono alla raccolta ed analisi dei dati, senza adottare misure radicali. Il “nostro” Comitato si trovò invece nella necessità (ma anche con la possibilità) di farlo.
La fama universale della Torre di Pisa provocò in quegli anni delle reazioni che sa-
rebbero molto interessanti da raccontare: per esempio, un enorme numero di fumetti, vignette, presentazioni “popolari” dei problemi e delle possibili soluzioni. Inoltre, letteralmente migliaia di persone, in tutto il mondo, sapendo che un apposito Comitato si stava concentrando sul problema per trovare una soluzione alla pendenza della Torre ed evitarne la caduta, provarono a immaginare soluzioni di propria invenzione, inondando di progetti l’Opera della Primaziale, ma anche il Sindaco di Pisa. Molti di
quei progetti erano dovuti ad ingegneri, molti anche ad artisti, ma moltissimi anche a gente comune, o perfino a bambini. Spicca fra tutti il disegno di una bambina di 9 anni del Bangladesh, Chumki Bhaban, che ha immaginato di scavare sotto la Torre una specie di tunnel, nel quale potessero entrare una serie di operai, asportando una parte del terreno sottostante. Questa intuizione elementare ( ridurre l’inclinazione “scavando sotto” la Torre, anziché “lavorando sopra” o “intorno” alle sue fondazioni) era giu- sta: Chumki Bhaban non poteva sapere che, quando faceva questo disegno, il Comitato internazionale stava immaginando, con le più sofisticate tecnologie, una soluzione concettualmente simile.
Il Comitato internazionale di cui ho fatto parte, presieduto da Michele Jamiolkowski del Politecnico di Torino, esaminò numerose proposte, ma decise sin dall’inizio di orientare la scelta finale mediante la convergenza di due criteri: la certezza dei risultati e la “leggerezza” dell’intervento.
Salvare la Torre con le tecnologie più avanzate, ma nel massimo rispetto delle caratteristiche fisiche e storiche del monumento, era una sfida straordinariamente difficile: eppure quando cominciammo a ragionare sulle misure da adottare non tutti sapevano ancora che qualcuno, in passato, aveva già immaginato qualcosa di simile alla tecnica che avremmo scelto, la “sottoescavazione”. Nel 1962 un ingegnere geotecnico italiano, Fernando Terracina, pubblicò sulla rivista «Geotechnique» un brevissimo articolo (quattro pagine) in cui propose di correggere la pendenza della Torre di Pisa mediante l’estrazione dal suolo di una porzione di terreno. Quello di Terracina era un articolo concettuale e teorico, perché in quel momento la Torre non correva imminenti pericoli. Ma fra i suoi lettori vi fu un giovane messicano che studiava ingegneria a Roma, Sergio Zaldivar Guerra, il quale se ne ricordò trent’anni dopo, quando dovette occuparsi della cattedrale di città del Messico, i cui muri erano sprofondati nel terreno. Un’idea lanciata da un italiano per la Torre di Pisa veniva dunque applicata in Messico, e con successo: anche se la struttura del sottosuolo e quella del monumento da salvaguardare sono così diverse, questa sperimentazione contribuì a indirizzare le scelte del Comitato su questa tecnica, per la quale si era intanto forgiata l’ etichetta di“sotto escavazione controllata ”. È con questa tecnica chela pendenza della Torre è stata significativamente ridotta dicir ca il10%,m ettendola insicurezza.