Crocifissi meravigliosi
San Francesco al Prato a Perugia è ora un rudere. La Croce dipinta dal Maestro di San Francesco nel 1272, alta 5 metri, è quanto sopravvive di più importante di quella chiesa, con la Deposizione di Raffaello della Borghese. Costretta in una stanza della Galleria nazionale dell’Umbria, non sprigiona tutta la sua forza suggestiva come ora al fondo di un salone immerso nell’oscurità, animato da muri angolati come sproni, in dialogo ravvicinato con altre quattro Croci umbre tra le più solenni, nella mostra Francesco e la Croce dipinta, ordinata dal nuovo direttore Marco Pierini e aperta fino al 29 gennaio. Una a fianco dell’altra queste Croci, diverse ma accomunate dalla figura di San Francesco presso i piedi sanguinanti di Cristo e dall’interpretazione gonfia di pathos, innescano un dialogo emozionante. Perugia, Orvieto, Spoleto, Montefalco, Trevi: questi i luoghi di origine, mentre le date, scaglionate fin verso il 1320, raccontano l’attrito sconvolgente del giovane Giotto, autore verso il 1290 del ciclo francescano nella basilica di Assisi. In un rialzo da dove si possono abbracciare le grandi Croci in un unico sguardo, sono poi allineate le Croci bifronti di piccolo formato, legate alla committenza di compagnie di battuti o di monache. Anche la Croce del Maestro di Cesi viene da un monastero femminile, quello delle Stelle a Spoleto, un complesso ora abbandonato e invaso di sterpi: per questo segue il modello della Croce che parlò a Francesco in San Damiano, venerata dalle clarisse come una reliquia, nel loro coro, con Cristo vivo e i due dolenti che incedono sui lati. A differenza delle altre Croci questa presenta i piedi inchiodati consumati da secolari carezze devote: non stava in alto sulla trave, come Crux de medio eclesiae, icona del dolore e del mistero eucaristico, immediatamente visibile per chi entrava in chiesa, sopra l’accesso al presbiterio, precluso ai laici, ma era disposta per
una venerazione ravvicinata nel coro femminile. Attraverso questa galleria si ricapitola in maniera folgorante uno degli snodi maggiori della nostra storia dell’arte. Di un’eleganza estenuata, il corpo di Cristo si allunga sulla Croce azzurra, levitando in curve vibranti all’infinito, nel capolavoro immane del 1272. I gesti di dolore di Giovanni e Maria e quelli di rispetto degli angeli sono composti, intrisi di bizantinismi. Di lì a poco i corpi di Cristo si contrarranno, tutti muscoli e tendini, in una nuova sconvolgente fisicità, con apice quasi urtante nel Crocefisso dell’ Espressionista di Santa Chiara, venuto da Montefalco. Allora gli angeli tenderanno le braccia, come a Trevi, o piomberanno a capofitto per urlare il loro dolore, come a Spoleto. Nella Croce di Trevi Francesco bacia i piedi di Cristo e il sangue che ne sprizza si confonde con quello che cola dalle sue stimmate, fino a sporcare il saio. È il punto di arrivo di un percorso avviato con la Croce di Perugia, la prima a presentare il poverello al posto della Maddalena, ai piedi di Cristo. Giunta Pisano nel 1236 nella Croce perduta di Assisi aveva dipinto il committente, frate Elia, come già l’abate Suger un secolo prima a Saint Denis. L’inserzione di Francesco ha un altro significato ed è ispirata dalle idee di Bonaventura, generale dal 1257, che teorizzò in Francesco un Nel 1272 egli si china reverente verso le stimmate e le addita: un reticolo dorato, emulo di una riza bizantina, scontorna i piedi di Cristo, i fiotti di sangue, la silhouette di Francesco e i suoi gesti. Poi questo garbo liturgico verrà meno e sarà un crescendo di passione e di concretezza, come nel gesto proteso con cui bacia un gigantesco chiodo, nella Croce di Montefalco. L’allestimento messo in scena a Perugia riesce a ricreare l’atmosfera alta e tesa del planctus pasquale intonato davanti a queste Croci. Ogni mostra che abbia una vera regia è essa stessa un'opera d'arte, tanto più apprezzabile se confacente allo spirito e alla storia degli oggetti che si vuole far parlare.