Il compositore sul palcoscenico
Non fu solo maestro della dodecafonia, ma scrisse anche per il teatro, ideò un balletto e molto altro. Lo racconta in un libro Mario Ruffini
L’essenza della musica si deve definire secondo tre misure: l’energia, l’ampiezza d’orizzonte che ne deriva, e l’altezza raggiunta nello spaziotempo grazie all’impulso deciso dall’energia e all’attrazione consentita dall’ampiezza. Perciò parliamo di musica forte, di grande musica e di musica alta. “Forte” come la libertà inesauribile con cui la musica sa trasformarsi, creare sorpresa, ingigantirsi, ridursi al minimo. “Grande” come l’importanza che la musica forte assume nella società e nella Storia, rappresentando interamente, nella forma unificante e nei dettagli più sottili, una civiltà, una cultura e un pensiero, e perciò un lógos, un’etica, un dovere civico. “Alta” come il grado di autonomia che la musica rivendica a sé, e al suo destino (essa, “nemica del destino”, secondo la definizione di Adorno) che la sospinge al di sopra della Storia e delle cose, fino al rango di “musica assoluta” e di linguaggio superiore, per forza di significazione, a qualsiasi altro. All’estremo sommo di tale misura, la musica assoluta rinuncia a significare “qualcosa di preciso” e di limitato dal cronótopo spaziotemporale, e ogni suo enunciato significa e dichiara l’intero Universo, come i danteschi frammenti di specchio in Paradiso XXIX (pagg. 144-145).
Energia, ampiezza e altezza della musica sono la sua bellezza, e il Bello è là dov’è il significato. Le parole di Pound sulla grande poesia che «is simply language charged with meaning to the utmost possible degree» si adattano alla musica forte, grande e alta. Dif-
| Guido Peyron, Ritratto di Luigi Dallapiccola (olio su tavola, Firenze, BNCF)
ficile trovare, fra i compositori italiani del Novecento, chi più e meglio di Luigi Dallapiccola (Pisino d’Istria, mercoledì 3 febbraio 1904, Firenze, mercoledì 19 febbraio 1975) realizzi ciò che diciamo della musica, intesa come arte, scienza, pensiero, coscienza storica e civile, e, perciò energia che attraversa lo schermo delle apparenze rivelando quale sia la propria vera essenza, quella dichiarata nel titolo, Lux, dell’opera estrema e incompiuta di Dallapiccola. La bellezza come egli la intende è un fine in cui si annodano insieme giustizia, libertà e verità, obiettivi che nel mondo delle apparenze, di solito, sono intesi in ordine sparso, spesso odiosamente e stolidamente in conflitto.
Per queste ragioni, grande è il dono a noi concesso da Mario Ruffini quale sommo interprete, biografo, massimo illuminatore della personalità e dell’opera di Dallapiccola. Chi percorra quell’opera, ammirandone la limpida esattezza, si addentra in un mondo tanto complesso quanto carico di significati, talvolta di enigmi, come il Deo gratias che egli, osteggiato da un fronte cattolico al tempo del Prigioniero (1950), usava scrivere sovente alla fine delle sue partiture manoscritte, o come i 6mila passi con cui il compositore misurava, a Firenze, il percorso quotidiano casa-Conservatorio-casa. Ruffini ha dedicato a Dallapiccola suo maestro monumenti di conoscenza e lezioni (per tutti noi) di appassionata rivelazione. Il Catalogo ragionato del 2002 non ha l’uguale, nel mondo, per compiutezza, precisione, chiarezza, coerenza, individuazione di ciascun dettaglio e, insieme, di ogni legame e riferimento. E proprio nel 2002, martedì 5 febbraio, in occasione di una conferenza al Kunsthistorisches Institut di Firenze, nacque il progetto di cui il gigantesco e splendido libro che qui annunciamo, dopo quindici anni di ricerche in tutto il mondo, di miracolosi ritrovamenti, di organizzazione dell’immensa materia oggi offerta a pubblica conoscenza, è il compimento. Fra gli innumerevoli risultati scientifici del lavoro di Ruffini, una menzione speciale va alla smentita clamorosa di un giudizio incauto, emesso da qualcuno in anni ancora recenti: essere stato Dallapiccola molto attratto dalla letteratura e dalla filosofia ma non dalle arti visive. Ruffini, anche soltanto con l’incredibile ricchezza iconografica di questo libro (dipinti, figurini, scenografie, ritratti, disegni dello stesso Dallapiccola) ci induce a domandarci come sia potuta sfuggire ad alcuni la sua passione per i “pittori da cavalletto”, le sue frequentazioni di Casorati, Bacci, Colachicchi, de Chirico, la reciproca collaborazione. Si aggiunga la presenza di Dallapiccola compositore di musiche per il cinema: un argomento su cui la ricerca di Ruffini è stata una vera opera di scavo, e al quale è dedicata una cospicua sezione del volume. Aprire queste pagine di Ruffini è anche un rinnovare radicalmente la conoscenza che si ha della cultura italiana di ieri e di oggi: della musica come della cinematografia, della pittura come del teatro. Per finire, si aggiunga una qualità per cui questo autore merita somma gratitudine: la capacità, negli apparati che concludono il volume, di rendere tutto immediatamente reperibile e collegabile, con un luminoso ordine.