Addio maschera crudele
In «Portiere di notte» faceva affiorare il masochismo familiare, in «Sotto la sabbia» il suicidio della sorella. L’attrice inglese si racconta
Un’innata eleganza e una timidezza infantile protrattasi nel tempo - a dispetto di atteggiamenti spesso anticonformistici – hanno contribuito a fare di Charlotte Rampling, attrice raffinata di sicuro talento, un’antidiva: incarnazione dell’interprete non riconciliata, in grado di trovare nella recitazione l’occasione per liberarsi della maschera che il mal di vivere e l’angoscia dell’esistenza sembrano averle imposto. Per sua stessa ammissione, essere abitata da una lunga teoria di personaggi ha permesso all’attrice inglese di toccare, di volta in volta, aree della propria interiorità che altrimenti non avrebbe nemmeno avvicinato.
In fin dei conti anche la nudità spesso ricorrente nella sua lunga carriera appare più indizio di una mancanza - e come tale riconducibile a una indeterminatezza del sé - che non a un corollario della bellezza o a una volontà esibizionistica. Persino la scelta di posare senza indumenti in età avanzata nelle sale del Louvre accanto a Monnalisa e alle sculture greche e romane per l’occhio del fotografo Jurgen Teller – avvenne anni fa tra lo sconcerto di alcuni – è da leggersi come ultima, quasi disperata, richiesta di un velo essenziale sia alla mise en scène della sua segreta bellezza sia alla messa a nudo del suo cuore.
Visto il riserbo e la nota ritrosia che hanno spinto l’attrice a scansare biografie di ogni genere, sembrava destinato a non diradarsi quell’alone di mistero che ha da sempre circondato la vita privata, mistero ribadito dallo sguardo limpido ma perennemente altrove, in grado di scoraggiare qualsiasi illazione.
Ma a far breccia in questa opacità è uscito un piccolo libro intimo e sincero, ora toccante ora scostante, scritto a due voci più che a quattro mani, dall’attrice e da Christophe Bataille - autore pubblicato in Italia anche se trascurato -, che narra senza raccontarla veramente fino in fondo la vicenda familiare dell’attrice: il titolo suona Io Charlotte Rampling anche se forse quello originale, Qui je suis, rende meglio l’intento. Grazie a un sapiente gioco d’intarsi, illuminazioni improvvise («quel che non si può dire bisogna sognarlo») e relitti della memoria («mia madre non si alza più: mio padre spinge la sedia a rotelle») si rincorrono creando una trama da cui non emerge il ritratto di Charlotte, e tanto meno si dipanano le tappe di una carriera, come ci si poteva aspettare.
Il racconto tutto al presente - ed è questo l’unico effetto cinematografico del testo - punta piuttosto a ricostruire stati d’animo, a evocare rapporti con- trastati, a far emergere, con garbata malinconia, dolori latenti. I mpresa quasi impossibile se il libro non fosse stato corredato da un’ampia serie di fotografie che nella loro sbiadita essenzialità stabiliscono con il l ettore una corrente di attrazione in grado di farlo partecipe di quell’universo familiare destinato ad avere tanta parte nella parabola artistica dell’attrice. Sbalzano così in modo netto le figure dei genitori: una madre bella e futile («amava ridere, ballare, giocare… era una farfalla di giorno e una principessa di notte») un padre militare altrettanto avvenente, fiero, programmaticamente insensibile ai turbamenti i nfantili delle figlie («era impenetrabile; non avrei mai osato fargli domande»).
L’ufficiale, già medaglia d’oro alle olimpiadi del ’36, e la signora che scrive diari con stilo blu, formano una coppia destinata, suo malgrado, a divorare le figlie. La primogenita Sarah, con cui Charlotte ha condiviso l’apprendistato alla vita, più debole, come mostra uno sguardo che interroga l’avvenire, fugge, si sposa a Acapulco, si trasferisce in Argentina e con un gesto diventato un inconfessabile segreto familiare, ventenne, si suicida. Charlotte favorita da bellezza, eleganza e talento trova invece la via d’uscita nel set: dalla vitalità irrispettosa iscritta nella Swinging London di Georgy svegliati, alla malinconia delle pene amorose in tarda età di 45 anni.
Il lettore appassionato di cinema, non troverà nel libro né date né titoli di film ma se farà attenzione, senza farsi distrarre da qualche artificioso eccesso poetico, potrà individuare sottostante, come figure di un palinsesto, le ragioni di tante personalità. Come non collegare il mix di paura e attrazione della protagonista di Portiere di notte nei confronti del suo aguzzino all’evidente desiderio di contenere il masochismo frutto della rigida educazione subita, o il disorientamento emotivo della protagonista di Sotto la sabbia con l’interminabile ricerca del lutto per la sorella suicida? Troppi sono gli i ndizi per non pensare che il cinema di Charlotte Rampling non sia figlio di una sofferenza troppo a lungo contenuta.