Cappelli per dodici mesi
Oscar Wilde sosteneva che dalla sola osservazione del suo cappello sarebbe stato possibile stabilire con certezza se una signora fosse già scivolata nella condizione di vivere di ricordi. Ma anche senza bisogno di guardarli con altrettanto sofisticate capacità interpretative, sempre, e ovunque, i copricapi hanno svolto (anche) la funzione di “grandi comunicatori”, fornendo le più icastiche rappresentazioni della posizione sociale e professionale di coloro che li indossano, e nello stesso tempo delle latitudini e delle stagioni.
Proprio alle straordinarie doti metaforiche dei cappelli (in questo caso come testimonial dei mesi dell’anno) ha fatto ricorso Antonio Romano, grande designer oltre che comunicatore d’impresa, che a loro ha dedicato il suo calendario 2017 (titolo: «Chapeau»), destinato come tutti i ventiquattro che lo hanno preceduto a divenire oggetto di culto e di collezione. Il gioco che sta alla base dei calendari di Romano è sempre lo stesso: rammentare alle imprese che è sempre possibile reinventare (anche con esiti spiazzanti) la propria identità mostrando come, appunto, elementi che fino a quel momento siamo stati abituati a vedere in un unico e preciso modo, tramite nuove e originali combinazioni possano trasformarsi in tutt’altro, senza però perdere mai la propria originale riconoscibilità. Ed ecco allora, immagini di cappelli adatti ai vari mesi che si compongono grazie a fette di pane, dischi e fili elettrici, conchiglie, chiusure lampo, ortaggi di ogni tipo, e così via, in una varietà di forme e di colori. Una sorpresa continua, un piacere per gli occhi, uno stimolo per l’intelligenza.
Il calendario, tirato in 16 mila copie, si va ad affiancare ad altri ventiquattro usciti dal ‘ 91 in poi, e dedicati ( solo per citarne alcuni) a biciclette, strumenti musicali, scarpe, lumi, animali, edifici, sempre costruiti con oggetti d’uso comune che si trasfigurano in altri. Certo, ammirando le immagini di « Chapeau » , viene da pensare ad una delle tante bizzarrie del nostro tempo, dove l’egalitarismo sembra applicarsi solo ( o soprattutto) all’abbigliamento, e in particolare al modo di coprirsi la testa. Berretti di lana e calotte impermeabili, oppure di tela, rigorosamente unisex, hanno sostituito l’infinita declinazione dei copricapi di un tempo. Persino un redivivo Oscar Wilde, a passeggio per le strade di Belgravia, forse farebbe fatica a capire se la dama che gli passa accanto seduta in carrozza viva o meno di rimpianti.