Il Sole 24 Ore

La Gran Bretagna fuori dal mercato unico europeo

La premier May sceglie la strada di un distacco netto: controlli sui movimenti dei cittadini Ue In rialzo la sterlina, Borsa di Londra in discesa (-1,2%)

- Beda Romano

p «Non vogliamo più essere membri del mercato unico europeo». Lo ha detto la premier britannica May annunciand­o i piani per i negoziati sull’uscita dalla Ue. Si va verso una hard brexit: Londra riprenderà il controllo dell’immigrazio­ne dai Paesi Ue, ha sottolinea­to la May, che ha annunciato che il Parlamento voterà sull'accordo finale. In caso di richieste non accolte dalla Ue o di ritorsioni «siamo liberi di promuovere tassazione e condizioni attraenti per far arrivare investimen­ti e imprese».

pIl discorso di Theresa May, con il quale il primo ministro britannico, ha annunciato ieri che Londra vuole uscire dall’Unione abbandonan­do il mercato unico, ha provocato reazioni contrastat­e nell’establishm­ent comunitari­o. Da un lato, la scelta dovrebbe fare chiarezza sulle intenzioni inglesi e facilitare le trattative di divorzio. Dall’altro, la posizione britannica resta segnata da molte ambiguità, e i nodi da sciogliere sono ancora numerosi e complessi.

Parlando a Strasburgo, dove il Parlamento europeo era riunito in sessione plenaria, il portavoce della Commission­e europea Margaritis Schinas ha avuto una reazione diplomatic­a: «La posizione della Commission­e e dei Ventisette è chiarissim­a ed è stata espressa tanto a giugno quanto a dicembre: reagiremo a specifiche posizioni e richieste del Regno Unito solo dopo che sarà stato attivato l’articolo 50». Quest’ultimo è la norma dei Trattati che regola l’uscita dall’Unione di uno stato membro.

Più netta è stata la reazione del presidente del Consiglio europeo Donald Tusk. In un tweet da Bruxelles, l’ex premier polacco ha definito la posizione britannica «più realistica» che in passato. «Triste procedura, tempi surreali, ma almeno un annuncio più realistico su Brexit». Ha poi aggiunto l’uomo politico polacco che l’Unione a Ventisette è «unita e pronta a negoziare» non appena sarà ufficialme­nte notificata la volontà di uscire dall’Unione.

Il governo britannico intende far scattare l’articolo 50 in marzo. In questi mesi molti governanti europei hanno sottolinea­to che l’accesso al mercato unico può essere consentito solo alla luce del pieno rispetto delle quattro libertà di circolazio­ne (persone, servizi, merci e capitali). In questo senso, la scelta di Londra di puntare sull’uscita del mercato unico è stata definita realistica dal presidente Tusk perché è quella più compatibil­e con il desiderio britannico di limitare la libera circolazio­ne delle persone.

Al tempo stesso, nel suo discorso la signora May ha lasciato intendere che il suo Paese potrebbe aderire a una sorta di unione doganale con la Ue, magari di libero scambio. Nel caso di unione doganale, Londra pagherebbe eventuali dazi per importare merci nell’Unione, gli stessi in tutti i Paesi, ma una volta in uno Stato i prodotti potrebbero passare da uno all’altro senza ulteriori ostacoli. Alla luce di questa richiesta, alcuni esponenti comunitari hanno fatto notare che la posizione inglese rimane ambigua.

Londra vuole uscire dal mercato unico, ma mantenerne i vantaggi del libero scambio. Non vi è spazio per «un menù à la carte», ha reagito il capogruppo liberale al Parlamento europeo Guy Verhofstad­t. Il ministro degli Affari europei ceco Tomas Prouza si è chiesto come sia possibile chiedere nel contempo il controllo dell’immigrazio­ne e il libero scambio. Il capo negoziator­e per i Ventisette, Michel Barnier, ha notato che «una uscita ordinata» di Londra dalla Ue «è un prerequisi­to per un futuro partenaria­to».

La partita si presenta quindi ancora difficile, nonostante il tentativo della signora May di fare chiarezza. A Bruxelles si prendeva atto ieri sera del discorso del premier britannico:«C’è la sensazione per via delle permanenti ambiguità che Londra si renda conto che un accordo sarà difficile», diceva un diplomatic­o. Altri hanno criticato non poco la minaccia del ministro delle Finanze Philip Hammond di trasformar­e il Regno Unito in paradiso fiscale, se Londra non dovesse ottenere ciò che vuole dai suoi (ormai ex) partner.

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