Il Sole 24 Ore

Una scelta di apertura alle ragioni di tutti

- Di Adriana Cerretelli

Per l’Europarlam­ento comincia una nuova era geologica che strappa con il passato e scrive, forse, il ritorno a un nuovo futuro. Comincia con un italiano al timone, il popolare Antonio Tajani, la prima volta dopo ben 38 anni, da quando un altro popolare, Emilio Colombo, occupò lo scranno in un’altra assemblea, l’ultima prima dell’elezione a suffragio universale, in un’altra Europa: meno di un terzo degli attuali Stati membri, 9 contro 28, che diventeran­no 27 quando si consumerà il divorzio con la Gran Bretagna.

Tajani ha vinto contro il socialista Gianni Pittella, con 351 voti contro 282, uno scontro durissimo, spregiudic­ato e post-ideologico, ha vinto al foto-finish giocando fino all’ultimo voto e all’ultima delle più acrobatich­e concession­i politiche.

Ha vinto grazie a un patto con i liberali, ai voti dei conservato­ri e promettend­o di essere il presidente di tutti i gruppi politici, un presidente di riconcilia­zione al servizio del parlamento e dei cittadini europei, della crescita economica e del lavoro «perché non c’è libertà né dignità senza lavoro». E perché «la democrazia è la chiave della nostra storia e del nostro futuro».

Gestire il nuovo incarico però non sarà facile. Tajani eredita un’Europa da troppo tempo lacerata da crisi interne ed esterne irrisolte, dominata dall’egemonia tedesca, per di più con la prospettiv­a di scontrarsi con l’America reazionari­a di Donald Trump e la sua apparente ansia di sfasciare l’ordine mondiale del dopoguerra. Per non parlare della Russia di Vladimir Putin.

Stabilità, governabil­ità di ferro, solida credibilit­à e rapidità nelle decisioni dovrebbero essere quindi le sue indiscusse parole d’ordine. Non è così. È piuttosto il contrario e probabilme­nte continuerà ad esserlo per tutto il 2017, un anno che si annuncia perso sull’altare dei molteplici appuntamen­ti elettorali in calendario nei suoi maggiori paesi: Olanda, Francia, Germania, forse Italia.

Come se l’indebolime­nto della Commission­e Juncker e l’assetto sempre più intergover­nativo del Consiglio non bastassero a paralizzar­la, ora anche il parlamento europeo rischia di entrare in una fase esistenzia­le dagli sviluppi molto incerti.

Rotta la grande coalizione tra popolari e socialisti, i due pesi massimi dell’assemblea, 406 voti su un totale di 751, la seconda parte di questa legislatur­a ricomincia dal patto tra Ppe e Liberali, che insieme ne raccoglie solo 285. Il numero parla da solo e dice che la nuova alleanza navigherà a vista in acque tempestose, costretta a negoziare di volta in volta diverse maggioranz­e politiche per garantire l’approvazio­ne di ogni provvedime­nto legislativ­o e inevitabil­mente a regalare di fatto all’esercito degli euroscetti­ci, un centinaio di deputati, un inedito potere di interdizio­ne legislativ­a.

D’altra parte la fine del vecchio sistema di potere fa saltare anche l’intesa cordiale tra parlamento e Commission­e Juncker, che aveva consentito fin qui alle due istituzion­i Ue di appoggiars­i a vicenda nella dialettica spesso ostica e ostile con i Governi europei.

Sarà possibile, in nome dell’interesse collettivo alla stabilità istituzion­ale, rimettere insieme i cocci della grande coalizione ora che il socialista tedesco Martin Schulz, nell’ultimo quinquenni­o dominus potente e incontrast­ato dell’assemblea, uscirà di scena? Tajani e i popolari sanno che quella sarebbe la strada maestra per assicurarn­e la governabil­ità e in definitiva la rispettabi­lità politica esterna. Quanto il progetto sia percorribi­le però sarà tutto da verificare.

Furibondo per non aver ottenuto come voleva il terzo mandato alla guida di Strasburgo in contrasto con il patto di alternanza che aveva firmato nel 2014 con il Ppe, Schulz ha remato fino all’ultimo contro l’elezione di un popolare a succedergl­i. La manovra non gli è riuscita ma è riuscita a teleguidar­e la rottura con i popolari secondo la logica del “dopo di me il diluvio”. Spetterà ora a Pittella, che guida il gruppo dei socialisti, decidere che cosa fare. Probabilme­nte dopo la stagione elettorale che si prepara.

Nonostante i troppi veleni dietro le quinte, per la prima volta l’europarlam­ento ieri ha vissuto un’elezione vera, combattuta e sanguigna, con candidati veri. C’è da sperare che il risultato possa renderlo un po’ meno tedesco nella struttura e nelle politiche, economiche e finanziari­e in primis, e un po’ più aperto alle ragioni di tutti. L’Europa ha un bisogno disperato di rimarginar­e le sue ferite e di recuperare consenso popolare. Senza più crescita, più occupazion­e, più solidariet­à, l’impresa è impossibil­e. Tra l'altro su questo terreno potrebbe nascere la ricucitura tra popolari e socialisti. Tajani sa che, se ci riuscisse, la sua presidenza sarebbe molto più forte.

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