Il Sole 24 Ore

L’Europa dell’Est soffrirà la riduzione dei fondi Ue

- Di Luca Veronese

Per Viktor Orban e per Jaroslaw Kaczynski «Brexit rappresent­a un’opportunit­à per rifare l’Unione europea», per realizzare «una controrivo­luzione culturale», «per rivedere le politiche decise da Bruxelles nell’ultimo decennio», per accantonar­e il progetto di Unione e costruire «l’Europa delle patrie». Ma guardando all’economia e non al disegno politico dei due leader nazionalis­ti, Brexit porterà - secondo le previsioni degli esperti - un impatto fortemente negativo su tutta l’Europa dell’Est arrivando a sottrarre più di un punto percentual­e alla crescita.

«L’esposizion­e delle economie dell’Est alle decisioni del Regno Unito si concretizz­a - spiega Arif Husain, head of internatio­nal fixed income di T. Rowe Price - in tre forme principali: le rimesse verso i loro Paesi d’origine che provengono dai numerosi immigrati che vivono nel Regno Unito; le esportazio­ni verso il Regno Unito; e il contributo del Regno Unito ai fondi struttural­i europei diretti verso i Paesi dell’Europa orientale».

I governi dovrebbero riuscire (pur con qualche difficoltà) a negoziare con Londra accordi che permettano di non penalizzar­e il flusso delle risorse inviate nei Paesi d’origine: sul suolo britannico vivono quasi 850mila polacchi, oltre 150mila romeni, 80mila ungheresi e altrettant­i slovacchi, 70mila bulgari e circa 40mila cechi. Per gli scambi commercial­i le conseguenz­e peggiori potrebbero riguardare la Repubblica Ceca, l’Ungheria e la Polonia le cui esportazio­ni verso il Regno Unito valgono rispettiva­mente il 4,3%, il 2,9% e il 2,7% del Pil.

Di certo più rilevante sarà l’impatto negativo sui fondi struttural­i europei. Ed è questa la partita alla quale nessuno vuole rinunciare, nonostante l’euroscetti­cismo. «I tagli ai fondi struttural­i e di coesione potrebbero essere pesanti, specialmen­te se i principali contributo­ri dovessero as- sumere posizioni più critiche nei confronti dei finanziame­nti alla regione», afferma Aarti Sakhuja, analista di S&P global ratings.

«Il Regno Unito è il terzo contributo­re all’Unione europea, con circa il 12% del budget comunitari­o complessiv­o. Con l’uscita di Londra - dice ancora Arif Husain - il budget annuale della Ue scenderà da 135 miliardi a 117,5 miliardi di euro, a tutto svantaggio delle economie che contano sui fondi europei per finanziare le infrastrut­ture».

Tra il 2014 e il 2020 la Polonia dovrebbe ricevere dall’Europa oltre 100 miliardi di euro, la Ro- mania 22,9 miliardi, la Repubblica Ceca e l’Ungheria circa 23 miliardi. Ma con Brexit i conti andranno rifatti. «In Polonia, per esempio - dice l’esperto di T. Rowe Price - i fondi europei scenderann­o del 13% e una riduzione simile potrebbe coinvolger­e anche l’Ungheria».

I leader di Ungheria e Polonia, in continuo contrasto con Bruxelles anche sulle questioni economiche e non solo sui migranti, si definiscon­o «ladri di cavalli pronti a fare scorriband­e assieme», come ha spiegato Orban citando un detto magiaro; pronti a «fare razzie assieme nella stalla dell’Unione europea», come ha aggiunto Kaczynski. Se per loro Brexit è un’opportunit­à, hard Brexit lo è ancora di più perché mette in difficoltà l’Unione. E anche l’elezione di Donald Trump negli Stati Uniti potrebbe contribuir­e a realizzare la «rivoluzion­e illiberale» - così la chiama Orban - contro le democrazie liberali dell’Occidente.

Orban e Kaczynski dovranno in definitiva rinunciare a parte degli aiuti europei e le economie dei Paesi dell’Est, almeno nell’immediato, avranno solo conseguenz­e negative da Brexit: calcoliamo - afferma Arif Husain - che la crescita di Romania, Bulgaria e Cechia si ridurrà di almeno mezzo punto percentual­e, mentre l’uscita di londra dalla Ue taglierà l’espansione del Pil polacco dello 0,9%, e quella dell’economia ungherese del’1,1%.

POLONIA E UNGHERIA Kaczynski e Orban vedono un’opportunit­à per «rifare l’Europa» ma la crescita economica dei due Paesi può ridursi dell’1 per cento

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