Le opportunità (e i rischi) per le imprese familiari
L’impresa familiare italiana cerca la strada per la crescita. I numeri sono impressionanti: sono 784mila le società familiari. Il 60% delle quotate sono ancora possedute dai fondatori o dai loro eredi.
La fusione tra Essilor e Luxottica e l’opzione scelta da Leonardo Del Vecchio pongono un interrogativo sul futuro delle imprese che ancora una scelta non l’hanno fatta. Del resto, la globalizzazione, la competizione dell’Asia, la crisi finanziaria prolungata stanno rendendo necessario un cambio di marcia per molti gruppi tricolore. Servono capitali per lo sviluppo e per conquistare quote di mercato all’estero.
Tra le strade possibili ci sono la quotazione in Borsa o l’ingresso di un private equity. Oppure c’è la grande fusione tranfrontaliera come nel caso di Luxottica. «Si tratta di un’operazione brillante e ben strutturata, si crea un operatore molto forte. Risolve due problemi in una volta sola: aumenta la scala del gruppo e crea grande fiducia sul passaggio generazionale» spiega Eugenio Morpurgo, Ad di Fineurop Soditic, una delle società di advisory più attive nell’M&A sulle società familiari.
Anche altri grandi gruppi italiani dovranno fare i conti, presto o tardi, con il passaggio generazionale. Un caso su tutti è quello di Esselunga che dopo la scomparsa del patron Bernardo Caprotti è in mano agli eredi e (per ora) sembra voler respingere le forti avance di private equity e colossi della grande distribuzione come Walmart e Tesco.
Ma bisogna stare attenti anche agli aspetti negativi di alcune operazioni. Per Max Fiani, partner di Kpmg «uno degli effetti spesso sottostimati che queste maxi operazioni determinano è lo spostamento delle strutture direzionali delle imprese all’estero. A livello di sistema Paese questa dinamica nel medio-lungo periodo può avere ricadute negative sia per l’impoverimento legato al trasferimento di potere decisionale e competenze manageriali, sia per quanto riguarda la perdite di commesse per tutto l’indotto».