Più attenzione alle forme cooperative e alle istituzioni
Caro Galimberti, il Suo invito a “chinarsi sui problemi micro”, rivolto agli economisti, mi pare vada al cuore del problema per una ragione molto profonda e raramente sottolineata. Avrà probabilmente notato che l’intero armamentario teorico che tradizionalmente abbiamo a disposizione risale al modello hobbsiano di ‘homo homini lupus’: dilemma del prigioniero, ‘moral hazard’, ‘adverse selection’, tragedia dei commons, equilibrio walrasiano... Sono concetti e modelli buoni per l’homo oeconomicus, ma lontani anni luce dall’evidenza che ci viene dall’economia comportamentale e dalla nostra esperienza quotidiana. Rischiamo così di costruire una realtà arcigna fatta ad immagine e somiglianza di tali rappresentazioni. Se la nostra buona disposizione verso gli altri e la nostra fiducia in loro sono molto più facilmente riscontrabili in ambiti decisamente contenuti piuttosto che in quelli vasti, allora concentrarsi sulle forme cooperative che in essi possono sorgere, lasciando quelle competitive alle scale maggiori, può non solo allargare l’orizzonte disciplinare, ma anche fornire utili indicazioni pratiche sul “che fare”. Ad esempio autori di destra come James Buchanan, con la sua teoria dei club, o di sinistra come Elinor Ostrom, con i suoi ‘commons’, possono darci importanti basi per costruire in primo luogo un efficace quadro “micro” e successivamente una sua articolazione ed integrazione a livelli più alti. Non so se in questo modo arriveremo alla stessa semplicità ed eleganza di Debreu, ma almeno parleremo del mondo reale e potremo offrire ricette
sensate e forse proficue.
Enrico Petazzoni Caro Petazzoni,
certamente una ripartenza dal ‘micro’, con quello che Keynes chiamava un atteggiamento ‘utile e competente’, è oggi necessario per rifondare una scienza economica che è stata scossa da due grossi accadimenti: la Grande recessione, innescata da una colpevole negligenza delle interazioni fra finanza ed economia; e la marea populista, innescata da due altre colpevoli negligenze. Da un lato le conseguenze della globalizzazione: fenomeno positivo nel medio-lungo periodo, ma distorsivo nel breve, dato che richiede ristrutturazioni nei Paesi avanzati, che a loro volta abbisognano di un rafforzamanto delle reti di sicurezza sociale, negato dalle ristrettezze dei bilanci pubblici. Dall’altro, le conseguenze delle diseguaglianze, da correggere non tanto tagliando gli alti redditi quanto sostenendo quelli bassi (e torniamo alla ristrettezze di bilancio).
Per quel che riguarda quella che lei chiama la ‘realtà arcigna’ rappresentata
da molti paradigmi della scienza economica, temo che sia parte di noi: l’homo homini lupus fa parte della storia e della cronaca. Ma è vero che una maggiore attenzione alle forme cooperative, al ‘nudge’ (‘tocco gentile’) per cambiare i comportamenti, al disegno delle istituzioni, sono tutte linee di ricerca che potrebbero portare risultati utili. Sperando ci sia tempo per farlo...
fgalimberti@yahoo.com