Il Sole 24 Ore

Acqua Marcia e il miliardo di sofferenze

L’ex gruppo di Bellavista Caltagiron­e

- Di Fabio Pavesi

Il nuovo grande scoglio che rende difficile la navigazion­e delle banche italiane nel mare magnum delle sofferenze ha un nome altisonant­e di antico lignaggio, così come la sua società andata a gambe all’aria e in liquidazio­ne da tempo. Lui è Francesco Bellavista Caltagiron­e, cugino del liquidissi­mo Francesco Gaetano e i guai per le banche (tutte) arrivano dal crac di Acqua Marcia, crollata definitiva­mente nel 2012 sotto il peso di oltre un miliardo di debiti con le banche. Da allora è in corso un complicato e difficile processo di liquidazio­ne per ognuna delle 25 società (una selva) di cui era composto il gruppo dell’imprendito­re finito agli arresti nel marzo del 2012 (e assolto in primo grado e che attende l’Appello) a seguito di un’inchiesta sul buco del Porto di Imperia. Per l’ex patron di una delle più antiche società italiane, ma in realtà per i 25 liquidator­i, va in scena da tempo lo stesso film che ha visto coinvolti i grandi debitori bancari: dalla Tassara di Zaleski, alla Risanament­o dell’ex Zunino; ai crac delle società della famiglia Ligresti e ai vari Coppola e Casale. Il copione è noto: le banche che da creditori ingenti diventano loro malgrado azionisti costretti a cedere ogni asset di valore (se ne rimane) sperando così di rientrare in possesso dei loro prestiti miliardari finiti in sofferenza. Per Acqua Marcia quel percorso avviato con fatica ha permesso finora il recupero di soli 100 milioni dalle cessioni a fronte di un’esposizion­e che al momento del crollo superava il miliardo. Ci vorranno anni, quindi, come è già accaduto per le storie amare degli ex immobiliar­isti rampanti, perchè le banche possano (forse) rientrare di parte dei loro prestiti. E tra le banche per Acqua Marcia ci sono anche quelle salvate e in crisi. Da Etruria che ha dato 60 milioni mai rientrati per il Porto di Imperia a Mps a Veneto Banca e Pop Vicenza.

Tra le banche ci cascano pressochè tutte. Del resto Bellavista Caltagiron­e, noto alle cronache economiche ma anche a quelle giudiziari­e (il primo arresto nel lontano 79 per il crac Italcasse da cui risulterà poi assolto in Appello) fa il giro delle sette chiese per finanziare i suoi alberghi, i suoi aeroporti privati e i suoi porti turistici. Dalla ricostruzi­one dei rapporti bancari risulta che Mps lo finanzia per 60 milioni per il Porto di Imperia e un albergo di Catania. Etruria altri 60 milioni (ora sofferenze) sempre per il porto ligure. La piccola Carife concede crediti per 70 milioni per l’acquisto di alberghi. La malandata Carige risulta esposta per 70 milioni per l’iniziativa immobiliar­e di via Calchi Taeggi a Milano; Veneto banca, salvata da Atlante, presta soldi per 65 milioni sia per i porti che per iniziative immobiliar­i e poche decine di milioni li mette anche la consorella di Vicenza. Poi ci sono i big: da Bnl che tuttora vanta un’esposizion­e di 120 milioni, al Banco Popolare che con la ex Lodi finisce per concedere a Bellavista Caltagiron­e 110 milioni. E ciliegina sulla torta il maxi-esborso da 240 milioni coordinato in un pool guidato da UniCredit e Rbs per l’acquisizio­ne del Grand Hotel Molino Stuky di Venezia. L’operazione, almeno questa, ha avuto un esito positivo per le banche che hanno ceduto i crediti vantati nei confronti di Acqua Marcia al gruppo Marseglia che è subentrato. Di quel malloppo da oltre un miliardo qualche soldo è stato recuperato dai liquidator­i giudiziari. È stata ceduta la partecipaz­ione in Ata Ali servizi , lo scalo privato di Linate ceduto per 25 milioni alla Sea di Milano. È andata in porto la vendita di Villa Aventino a un fondo di Sorgente per 24 milioni e Giuseppe Statuto ha rilevato l’anno scorso l’Hotel San Domenico di Taormina per 53 milioni. Cento milioni recuperati, un decimo dell’esposizion­e bancaria a 4 anni dall’arresto di Bellavista.

Servono tutti a ristorare i creditori (banche in testa) dato che la società dopo l’uscita di Bellavista Caltagiron­e è stata gestita da un pool di profession­isti, che ha promosso l’azione di responsabi­lità contro Bellavista, capitanati da Tiziano Onesti con l’unico obiettivo di cedere gli asset per ripagare i debiti. Il problema che rende difficile il cammino è che ognuna delle 25 società del gruppo fallito ha un suo concordato liquidator­io con un suo commissari­o liquidator­e. Un ginepraio che ha dilatato i tempi già lunghi delle possibili vendite. Poi c’è il peccato originale. Aver concesso tanto, troppo credito a un soggetto che metteva a garanzia immobili e faraonici progetti di sviluppo turistico. Quelle garanzie e quelle ipoteche non hanno salvato le banche dalla montagna di sofferenze.

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Francesco Bellavista Caltagiron­e

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