Lo shale oil di Permian attira anche Exxon: investiti 6,6 miliardi di $
Il bacino, r icco di r iserve a basso costo, traina il r ilancio del petrolio Usa La major rileva asset e raddoppia la presenza nell’area
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ExxonMobil, la rivale Clayton Williams Energy –e Wpx Energy, che ha rilevato licenze nell’area per 775 milioni.
Del resto è nel Permian Basin che il petrolio «made in Usa» ha mantenuto la sua roccaforte più solida, quando il prezzo del barile affondava dagli oltre 100 dollari dell’estate 2015 ai meno di 30 $ di un anno fa. Ed è da qui che sta partendo la riscossa dello shale, ora che il greggio si è ripor- tato sopra 50 dollari.
Exxon prevede di aggiungere almeno 15 trivelle nei terreni appena acquistati e, sfruttando l’adiacenza con altre operazioni, promette di effettuare perforazioni orizzontali fino a 2 miglia, ossia circa 3,2 km. «Siamo in grado di perforare i pozzi laterali più lunghi del bacino di Permian, riducendo i costi di sviluppo e accrescendo il recupero delle riserve», assicura Darren Woods, il nuovo ceo di Exxon, che dal 1° gennaio ha sostituito Rex Tillerson, scelto come segretario di Stato da Donald Trump.
Nel Permian, a differenza che nelle altre shale play , le trivelle non hanno mai smesso di funzionare a pieno ritmo e adesso, osserva l’Eia, si contano più impianti attivi da queste parti che in tutto il resto degli Stati Uniti. Ed è soprattutto a questi pozzi, così prolifici ed efficienti, che si deve il rapido recupero della produzione americana, già risalita di quasi 500mila barili al giorno rispetto al minimo di 8,5 milioni di bg dello scorso settembre (il massimo, su base mensile, era stato 9,6 mbg ad aprile 2015).
Anche i costi di estrazione stanno comunque risalendo, sulla scia delle quotazioni del greggio: nel corso di quest’inverno ci sono già stati aumenti del 10-20% secondo stime citate dal Wall Street Journal.
Proprio su questo aspetto si appuntano le speranze dei sauditi, di non veder neutralizzati in breve tempo i tagli produttivi dell’Opec. «Mi aspetto che i costi aumentino», ha osservato il ministro Khalid Al Falih dal World Energy Forum di Davos. «Quelli che stanno sfruttando ultimamente in Nord America sono i giacimenti più prolifici. Con la crescita della domanda dovranno tornare su quelli più costosi, più difficili, meno prolifici. E alora si accorgeranno di aver bisogno di prezzi del petroliolio ppiù alti».
L’AVVERTIMENTO SAUDITA La produzione americana è già risalita di 500mila bg dai minimi di settembre Il ministro Al Falih: con i costi in ripresa ci sarà una frenata