Separazione di fatto, cittadinanza salva
Il per iodo è conteggiato come matr imonio e ai fini dei due anni di residenza in Italia
pLa separazione di fatto non pregiudica il diritto alla cittadinanza acquisito da una donna straniera dopo il matrimonio con un italiano. La Cassazione (sentenza 969 del 2017) respinge il ricorso del ministero dell’Interno contro una signora di origine tunisina che, separazione di fatto a parte, aveva le “carte in regola” anche alla luce dei più stringenti requisti fissati dal «Pacchetto sicurezza» del 2009. La norma subordina la cittadinanza alla residenza in Ita- lia, «per almeno due anni dopo il matrimonio senza che sia intervenuto annullamento, separazione personale o divorzio». La Corte d’appello aveva ritenuto irrilevante la separazione di fatto, inequivocabilmente avvenuta tra i due coniugi, perché la legge richiede una condizione ostativa diversa, ovvero la separazione personale giudizialmente accertata. I giudici, pur condividendo l’obiettivo della legge di evitare un uso del matrimonio strumentale, avevano sottolineato il carattere di minore stabilità della separa- zione di fatto rispetto a quella legale e valorizzato, nel caso specifico, il carattere effettivo del matrimonio e la residenza da almeno due anni.
Contro il verdetto fa ricorso il ministero, secondo il quale l’espressione «separazione personale» indica un genere più ampio che comprende anche la separazione legale e quella di fatto. Ai fini dell’acquisto della cittadinanza, sarebbe dunque irrinunciabile l’esistenza in concreto del rapporto matrimoniale. A supporto della sua tesi il Viminale cita anche la sen- tenza 6526 del 2005, con la quale il Consiglio di Stato ha espressamente stabilito che condizione per ottenere la cittadinanza sia non solo il matrimonio ma anche l’instaurazione di un vero e proprio rapporto coniugale.
La Suprema corte respinge il ricorso del ministero, sottolineando, al contrario, che separazione di fatto e separazione personale sono due fattispecie non assimilabili. Una differenza evidenziata anche dal regime giuridico delle adozioni che prevede la possibilità di adottare un bambino solo se negli ultimi tre anni non è intervenuta tra i coniugi una «separazione personale neppure di fatto». Una diversità confermata anche da un regime giuridico distinto. Per la Suprema corte le condizioni ostative previste dalla legge «non possono essere fondate su clausole elastiche, ma su requisiti di natura esclusivamente giuridica, predeterminati e non rimessi ad un accertamento di fatto dell’autorità amministrativa». La Cassazione precisa che le altre condizioni interdittive sono: annullamento, scioglimento e cessazione degli effetti civili del matrimonio. E a queste lo Stato non può aggiungere la separazione di fatto.