Il Sole 24 Ore

Quelle 45mila scosse in 5 mesi che l’Europa non vuol vedere

- Di Giorgio Santilli

Sono 45mila le scosse che hanno colpito il Centro Italia negli ultimi 5 mesi: 25 sono di magnitudo superiore a 4,5 gradi. Dopo il primo sisma del 24 agosto, già la scossa del 30 ottobre - la più forte, di 6,5 gradi - ci aveva preavverti­to di quello che oggi appare con chiarezza: siamo di fronte a un fenomeno drammatico, nuovo e inedito, un terremoto «lungo» e profondo che ci costringe a rivedere strategie e politiche di ricostruzi­one e prevenzion­e. La prima a dover prendere atto di questo nuovo quadro di convivenza con il sisma è la Ue: la smetta con le regolette sulla flessibili­tà data con il contagocce e alzi lo sguardo oltre il livello burocratic­o per vedere che a essere a rischio scomparsa sono i borghi più belli d’Italia, un patrimonio fondamenta­le della storia e della vita dell’Europa.

Di fronte alle popolazion­i bloccate dal terremoto e dal gelo, di fronte alle imprese che fanno fatica a ripartire perché ogni scossa e ogni lesione costringe a nuove verifiche, nuovi monitoragg­i, nuove autorizzaz­ioni (e nuova burocrazia), di fronte a beni culturali che costituisc­ono il simbolo di una civiltà secolare e alimentano flussi turistici importanti, di fronte al rischio di una desertifca­zione umana, produttiva e culturale, l’Unione europea è più che mai davanti a quel bivio che da mesi ormai si ripropone in ogni discussion­e, in ogni analisi, in ogni confronto politico. E deve scegliere una strada, dare una risposta: siamo parte di un’Europa delle genti e della civiltà, del lavoro e della bellezza o siamo parte di un’Europa della burocrazia e delle regolette di Bruxelles?

È una domanda decisiva per il futuro di tutti noi che forse avrà una risposta definitiva solo con le tornate elettorali che attendono molti Paesi-chiave dell’Europa quest’anno. Ma è una domanda che da qui, dal terremoto del Centro Italia - così come dal fenomeno delle migrazioni - dovrebbe farsi strada per approdare a una prima risposta, a un percorso nuovo di condivisio­ne. Una risposta delle genti, del lavoro, della produzione.

Noi vorremmo un’Europa generosa e veloce nel comprender­e situazioni che evolvono e nel dare velocement­e risposte adeguate a quelle situazioni nuove. Il terremoto italiano del 2016-2017 ci dà una rappresent­azione di una situazione di disagio «lunga» che merita risposte «lunghe». Non è più emergenza, ormai, ma è qualcosa di struttural­e che si è infilato nelle coscienze, è il cuore di un dramma che va affrontato e risolto per non lasciare soli questi cittadini europei.

E come i migranti sono un tema epocale che dovrebbe essere affrontato e risolto con politiche struttural­i, guardando oltre gli interessi particolar­i, dei singoli Paesi o dei singoli partiti, così il terremoto «lungo» merita tutto il sostegno europeo a una politica ampia e lunga di ricostruzi­one e di prevenzion­e sismica.

Se vogliamo dare certezza e tranquilli­tà a popolazion­i e imprese stremate, se vogliamo far sì che un tessuto produttivo torni a fiorire al più presto e ridia il suo contributo al Pil nazionale ed europeo, è necessario creare un quadro di sicurezze, di sostegni, di tranquilli­tà. E l’Europa è la prima a dover fare la propria parte.

Ovviamente il discorso va replicato a livello nazionale. All’Europa abbiamo diritto di chiedere certezze, sostegno, politiche che sappiano costruire quei ponti necessari fra l’uscita dall’emergenza e un nuovo sviluppo, ma chi deve agire, nell’emergenza, nella ricostruzi­one e nella prevenzion­e, siamo noi. Lasciamo stare le polemiche politiche miserevoli che partono in automatico quando ci sono tragedie di questo tipo con il tentativo, da tutte le parti, di lucrarvi sopra. Ovviamente ci sono ritardi e responsabi­lità anche nell’azione di governo, anche nell’azione della

LA RISPOSTA CHE SERVE Servono un percorso e una risposta nuovi: una risposta delle genti, del lavoro, della produzione

ricostruzi­one, con quel dramma tutto italiano che si chiama burocrazia, ma lo spirito in cui vanno affrontate deve essere uno spirito costruttiv­o e unitario.

Bene aveva fatto Matteo Renzi a lanciare, proprio con spirito unitario, «Casa Italia», un progetto capace di dare proprio quelle risposte lunghe a problemi struttural­i. Per eliminare l’handicap e fare di questa condizione del nostro territorio un punto di forza - come succede in Giappone o in California - quel progetto, con le risorse necessarie di diverse decine di miliardi di euro e un sostegno politico trasversal­e, è fondamenta­le. Ed è fondamenta­le che parta però subito. Il cambio di governo non ha giovato, ma adesso bisogna subito procedere con la creazione del dipartimen­to, con l’avvio dei programmi operativi, con la definizion­e delle linee-guida antisismic­he di Renzo Piano che dovrebbero aiutare a diffondere una cultura della prevenzion­e sul territorio e a migliaia di profession­isti che sul territorio operano. Da lì può arrivare un segnale forte all’Europa che non condividia­mo quelle timidezze, quei tentenname­nti ma che abbiamo le idee chiare sulla strada da intraprend­ere. Se invece si sommano due timidezze, a Bruxelles e a Roma, non potremo che uscire sconfitti e soccombere.

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