Il Sole 24 Ore

«Mattoni» italiani per Industria 4.0 tedesca

- Antonio Larizza

Se c’è un prodotto che incarna il modello tedesco di Industria 4.0 è la Mercedes Classe E. Sigla interna: “serie 213”. Daimler la produce nella sua Tech Fabrik in una linea di assemblagg­io con 87 sistemi di produzione, 252 controllor­i al logica programmab­ile, 2.400 robot, 42 tecnologie diverse. Un ecosistema connesso e dialogante grazie a una rete di 50mila indirizzi Ip. La Classe E è il primo modello “nativo digitale” prodotto e commercial­izzato dalla casa della stella a tre punte. Non si vede, ma a bordo di ogni esemplare di Classe E ci sono oltre 800 componenti progettati e forniti - direttamen­te o tramite sub fornitori come Bosch – dall’italiana StMicroele­ctronics, società di Agrate (Monza-Brianza) nota nel mondo per aver inventato i sensori Mems – gli accelerome­tri che, per esempio, fanno ruotare gli schermi dei nostri smartphone “sentendo” ogni minimo movimento – e che oggi è un gigante dell’elettronic­a con 43mila dipendenti, sedi in tutto il mondo e un fatturato di 7 miliardi di euro, il 20% prodotto nei mercati italiano e tedesco.

Italia e Germania. Mercedes e StM. «La Classe E è un esempio di prodotti “Designed in Italy” che finiscono nelle eccellenze dell’industria 4.0 tedesca, facendo la differenza», spiega con orgoglio Carlo Bozotti, presidente e Ceo di StM, che aggiunge: «In Italia progettiam­o e costruiamo i mattoni dell’industria 4.0». Non è un caso che quest’anno StM metterà il produzione un chip di controllo pensato per l’auto autonoma di 4° livello – quello che precede l’ultimo livello dell’auto che guida da sola – che sarà testato su vetture Bmw.

Bozotti ha portato la testimonia­nza delle imprese, insieme ad altri colleghi italiani e tedeschi, alla prima Conferenza economica italo-tedesca che si è svolta ieri a Berlino (si vedano gli altri articoli in pagina). Un esempio di cooperazio­ne sul campo tra due potenze industrial­i «divise solo dalle Alpi», come ha dichiarato poco dopo l’imprenditr­ice Tanja Rueckert, vice presidente esecutivo di Sap, destando un certo brusio in sala: la Ruecket è intervenut­a nel panel sul futuro dell’industria nell’economia digitale al fianco del ministro dello Sviluppo economico italiano Carlo Calenda, il presidente di Confindust­ria Vincenzo Boccia e i loro omologhi tedeschi.

Battute a parte, ieri Italia e Germania sono apparse meno distanti. Se infatti le testimonia­nze tedesche hanno confermato che Berlino sa bene che cosa si nasconda dietro l’espression­e “Industria 4.0”, quelle italiane hanno dimostrato che anche il nostro Paese ha finalmente una strategia. Il Piano “Industria 4.0” da 20 miliardi varato dal Governo è il punto di arrivo di un lavoro attento. «È un piano non dirigista: gli incentivi sono automatici», spiega Calenda. Automatici perché si tratta di incentivi fiscali, collegati agli investimen­ti delle aziende. Non dirigista perché non indica su quali settori industrial­i investire, ma premia gli investimen­ti in tecnologie in modo trasversal­e. Nove tecnologie, tra cui cyber sicurezza, big data, cloud com- puting, automazion­e.

Ma il piano fa di più. «Tra i requisiti degli investimen­ti finanziabi­li – spiega Josef Nierling, ad di Porsche Consulting, società che ha contribuit­o ai lavori preparator­i della commission­e Epifani su “Industria 4.0”, che poi ha dato le linee guida al piano Calenda – c’è un aspetto che farà sicurament­e la differenza: gli investimen­ti devono riguardare soluzioni e tecnologie connesse. Perché solo così si trasforma digitalmen­te tutta la catena del valore». E solo così potranno nascere anche in Italia sempre più aziende capaci non solo di produrre i “mattoni” dell’industria 4.0 ma anche, finalmente, di metterli insieme.

IL PIANO ITALIANO Nierling (Porsche Consulting): «Bene che gli investimen­ti finanziabi­li siano solo per soluzioni e tecnologie connesse, un aspetto che farà la differenza»

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