Il Sole 24 Ore

I mal di pancia dei falchi tedeschi e la barra ferma di Mario Draghi

- Alessandro Merli

Gli economisti di Commerzban­k l'hanno chiamato “l’anno della politica” e il 2017 mostra di esserlo fin dalle prime settimane. La risalita dell’inflazione nell’Eurozona all’1,1%, quasi interament­e per effetto del rialzo del prezzo del petrolio, ma all’1,7% in Germania, ha già aperto le cataratte delle critiche alla Banca centrale europea nel Paese che la ospita. Dal ministro delle Finanze, Wolfgang Schaeuble, a molti politici ed economisti tedeschi, al fuoco di fila della stampa, nell’economia europea più avversa all’inflazione la ripresa dei prezzi unita ai tassi d’interesse che continuano a rimanere bassissimi e quindi ad aggravare “l’esproprio” dei risparmiat­ori è già diventato un casus belli.

Le pressioni sono destinate ad accentuars­i man mano che si accenderà la campagna elettorale per il voto di settembre, quando è facile prevedere che la Bce sarà un bersaglio per i politici di ogni colore. Proprio a settembre, nel momento in cui il consiglio dovrà decidere, dopo aver scelto il mese scorso di ridurre a partire da marzo di quest’anno gli acquisti di titoli del Qe, cosa fare l’anno prossimo. Le minute della riunione di dicembre mostrano divisioni abbastanza profonde fra i consiglier­i e non c’è dubbio che la voce dei falchi si alzerà nei prossimi mesi, quando l’inflazione dovrebbe continuare a salire (forse sopra il 2% in Germania già dal mese prossimo). Dall’altra parte, c’è chi ritiene che già con la decisione di dicembre il consiglio possa aver dato l’impression­e di cedere alla politica, quando ha ridotto lo stimolo senza che ci siano indicazion­i di un migliorame­nto continuati­vo del quadro dell’inflazione, dato che la scomparsa degli effetti statistici sul petrolio dovrebbe far rientrare il rialzo nella seconda metà dell'anno, e che l’inflazione di base resta stagnante (allo 0,9%) e lontana dai livelli desiderati. C’è il rischio insomma che la credibilit­à della politica monetaria venga messa a repentagli­o. «La funzione di reazione della Bce è ora più confusa» dopo le decisioni di dicembre, secondo Marco Valli, di UniCredit. E Huw Pill, di Goldman Sachs, osserva che tutto resta pesantemen­te dipendente dalla continuazi­one di una politica monetaria accomodant­e.

Non c’è pressoché alcuna possibilit­à che il consiglio decida oggi altre modifiche al Qe, né ai tassi d’interesse. In conferenza stampa, il presidente Mario Draghi riconoscer­à il migliorame­nto della crescita e dell’inflazione, ma terrà il punto, respingend­o le sollecitaz­ione tedesche perché cominci a individuar­e una via d'uscita dallo stimolo monetario. I prossimi cambiament­i sono lontani, anzi l’allungamen­to del Qe per nove mesi ha tra gli altri obiettivi quello di mantenere un periodo più lungo di stabilità. Il mese scorso, Draghi ha anzi sostenuto che c’è un’asimmetria nelle prossime mosse: non è alle viste un’ulteriore riduzione del Qe, mentre questo potrebbe essere aumentato di nuovo se la situazione dovesse peggiorare, anche se questa affermazio­ne risulta oggi meno inattaccab­ile.

A far da sfondo alle decisioni del consiglio c’è poi ancora la politica: non solo quella che verrà, sotto forma delle elezioni francesi e tedesche, ma soprattutt­o quella che ha già prodotto Brexit e l’ascesa di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti. E proprio questi due elementi hanno mostrato nelle ultime ore come potranno pesare sul quadro delle condizioni finanziari­e nei prossimi mesi, sotto forma di vaste oscillazio­ni del cambio. Il dollaro, che si era molto rafforzato dopo l’elezione di Trump, un’evoluzione non del tutto sgradita alla Bce, si è invece ridimensio­nato quando il presidente che si insedia domani e i suoi consiglier­i hanno detto esplicitam­ente che il cambio si spingeva troppo in là. E la sterlina ha a sua volta invertito la marcia, da una netta svalutazio­ne a un rimbalzo, dopo il discorso del primo ministro britannico Theresa May sulla “hard Brexit”. Sono fattori di disturbo con i quali i decisori di Francofort­e, loro malgrado, dovranno confrontar­si ancora per parecchi mesi.

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