Il Sole 24 Ore

Dalla prescrizio­ne alla politica penale, i silenzi di Orlando

- Donatella Stasio

L’incipit di Andrea Orlando suona come un’excusatio non petita. «Mi perdoneret­e se questa relazione non affronterà tutti i campi del funzioname­nto della giustizia», dice il guardasigi­lli alle Camere. E in effetti, colpiscono alcuni silenzi e qualche contraddiz­ione su passaggi importanti di una relazione orgogliosa­mente rivendicat­iva di una politica della giustizia che sta dando risultati concreti: su prescrizio­ne, proroga delle pensioni dei magistrati, riduzione dei detenuti, politica penale c’è stato qualche non detto di troppo.

Anche stavolta, ad esempio, è assordante il silenzio sul numero dei processi prescritti, sebbene quest’anno il ministro abbia speso qualche riga in più sull’argomento, per rilanciare «l’intervento incisivo» ed «equilibrat­o» contenuto nel Ddl sulla giustizia penale, bloccato al Senato dopo il «no» dell’ex premier Matteo Renzi alla fiducia, prima del referendum costituzio­nale, e ora lasciato nel congelator­e dalla conferenza dei capigruppo.

Era andata così anche l’anno scorso, un po’ in sordina, come se il numero dei processi fulminati dalla prescrizio­ne fosse tutto sommato secondario, con buona pace dell’appello per una riforma «non più rinviabile» e «radicale» lanciato, di lì a poco, dai vertici della Cassazione proprio sulla base di quel dato, sia pure limitatame­nte al primo semestre del 2015: 68.098 prescrizio­ni, rispetto alle 63.753 dello stesso periodo del 2014 (che in totale ne registrava 132.296), con un trend in aumento rispetto agli anni 2009-2012. Quale sia stato il trend successivo, non si sa: non risulta né dalle 109 pagine della «Sintesi della relazione del Ministro» né dalle 733 pagine della Relazione integrale né, tanto meno, dalle 18 cartelle lette dal ministro in Parlamento.

A maggio dell’anno scorso, Orlando convocò una conferenza stampa per illustrare un’ampia analisi statistica sulla prescrizio­ne, ufficio per ufficio, ferma però al 2014, dalla quale emerge una realtà a macchia di leopardo, frutto anche di una diversa organizzaz­ione degli uffici. Come a dire che la prescrizio­ne non è solo un problema di norme ma anche di capacità organizzat­ive dei capi degli uffici. Si era alla vigilia della presentazi­one degli emendament­i al Ddl di riforma della giustizia penale in commission­e Giustizia...

Ma il silenzio sul dato della prescrizio­ne non è l’unico. La relazione tace anche sul Dl 168/2016 dell’estate sorsa, con cui il governo, dopo aver abbassato da 75 a 70 anni l’età pensionabi­le dei magistrati, ha prorogato il trattenime­nto in servizio dei soli vertici della Cassazione. Orlando non ne ha parlato, e tanto meno dello scontro con l’Anm, dell’impegno suo e di Renzi di correggere il «vulnus» creato da quel decreto e del ripensamen­to successivo, nonché della decisione delle toghe, per protesta, di disertare l’inaugurazi­one dell’anno giudiziari­o in Cassazione, il 26 gennaio (decisione senza precedenti e non priva di rilievo istituzion­ale visto che alla cerimonia è presente anche il Capo dello Stato). Il ministro ne ha parlato solo nella replica, sollecitat­o da alcuni parlamenta­ri, liquidando la questione come «non fondamenta­le» per il funzioname­nto della giustizia, e la reazione delle toghe come «sproporzio­nata». Eppure si tratta di una vicenda politicois­tituzional­e significat­iva, perché il “privilegio” della proroga è stato dato per decreto legge ad alcuni magistrati, creando un pesante precedente sulla possibilit­à che un governo si scelga le toghe da far rimanere e quelle da mandar via. Un incidente di percorso del precedente governo, ormai irrimediab­ile? Forse, ma non può essere silenziato o liquidato come “affare corporativ­o” delle toghe, tanto più se poi si dice che «devono essere contenute le prevaricaz­ioni del potere esecutivo».

Infine: carcere e politica penale. Sul primo fronte va dato atto a Orlando di aver fatto molto (anche con gli Stati generali) per

NELL’INTERVENTO Nessun riferiment­o ai processi prescritti. La denuncia del populismo penale stride con alcune scelte del governo

LO SCONTRO CON L’ANM Il Dl di proroga della pensione solo per i vertici della Cassazione è un fatto di rilievo politico istituzion­ale

far passare - nel governo, nella maggioranz­a, nel Pd, nel Paese - una diversa cultura dell’esecuzione penale, ma proprio per questo ci si aspetta trasparenz­a e coerenza. A cominciare dal numero dei detenuti, scesi, è vero, di molte migliaia, ma risaliti dai 52.164 a 54.653 nel corso del 2016. Indagare le cause di questa ripresa è doveroso, anche perché, forse, si annidano in una politica penale che, purtroppo, non ha archiviato - come Orlando invece rivendica - una logica «propagandi­stica e simbolica». Da un lato, il ministro stigmatizz­a la «costante dilatazion­e dei reati previsti dalla legge»; dall’altro, sembra dimenticar­e alcune discutibil­i scelte del governo Renzi, come l’introduzio­ne dell’omicidio stradale (che non ha ridotto gli incidenti mortali), il mantenimen­to in vita (finora) del reato di immigrazio­ne clandestin­a, l’aumento delle pene per i cosiddetti reati di strada. Un’evidente contraddiz­ione, insomma, rispetto alla «tendenza di molti Paesi, compreso il nostro - denunciata ieri - ad affrontare con interventi penali problemi di carattere sociale». A meno che, con queste parole, il ministro non abbia voluto prendere le distanze da quelle perle di populismo penale...

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