Le incognite della svolta economica di Trump
Trump sarà un nuovo paradigma per l’economia mondiale? Domani 20 gennaio, il presidente eletto Donald Trump si insedierà alla Casa Bianca. Si guarderà con attenzione agli annunci di politica economica che ne seguiranno. Nonostante la leggera correzione degli ultimi giorni, i mercati azionari sono in ripresa dall’8 novembre, data della sua vittoria elettorale, scontando un forte stimolo fiscale. Quanto realistiche sono queste aspettative? Sembra ragionevole prevedere: 1) un aumento della spesa per infrastrutture (e forse anche per la difesa e per la sicurezza nazionale); 2) una riforma fiscale per le imprese volta a ridurre la tassazione sul capitale; 3) una riduzione delle imposte sul reddito personale; 4) agevolazioni fiscali per il rimpatrio dei capitali detenuti all’estero dalle imprese americane; 5) una riduzione dei carichi amministrativi e regolamentari; 6) cambiamenti nelle politiche commerciali e sull’immigrazione, con la possibile introduzione di una “tassa doganale”. Inoltre, in agenda vi sono possibili cambiamenti in materia di politica estera, che potrebbero avere effetti sugli equilibri geopolitici e sull’economia globale ma che al momento sono difficili da prevedere. La riduzione della tassazione sul reddito, se significativa, potrebbe dare rapidamente sostegno ai consumi e alla crescita del Pil. Per le altre misure ci vorrà invece del tempo, e in particolare per il programma di investimenti ci vorranno degli anni. Inoltre, gli effetti sulla crescita dipenderanno anche da come verrà finanziata la riduzione delle tasse, ovvero se sarà o meno in disavanzo. Se l’abbassamento delle tasse verrà compensato eliminando molte detrazioni (come il presidente della Camera dei Rappresentanti Paul Ryan ha sostenuto in passato), potrebbe migliorare la struttura degli incentivi e avere un effetto sull’offerta anziché sulla domanda, con un impatto più duraturo ma più lento. Del resto, con l’economia ormai vicina alla piena occupazione, non c’è alcun bisogno di stimolare ulteriormente la domanda. Alcuni membri del Congresso si aspettano una riforma “fiscalmente neutra” e, quindi, non è chiaro fino a che punto le misure saranno di tipo espansivo. Un primo effetto dell’atteso piano di investimenti si è già in parte verificato e riguarda le aspettative. Un cambiamento nelle aspettative tende a supportare le decisioni di consumo e di investimento, ma non può durare a lungo se a questo non faranno seguito azioni concrete. Il rischio è che le aspettative siano già andate oltre quello che è realistico attendersi dal processo legislativo. Cruciali saranno la tipologia e la tempistica delle misure che verranno adottate, e soprattutto l’atteggiamento del Congresso. In passato ha bloccato molti piani di spesa pubblica dell’Amministrazione Obama, ma ovviamente ora è dello stesso colore politico della nuova Amministrazione.
Una politica fiscale più accomodante potrebbe portare ad una “normalizzazione” più rapida della politica monetaria. L’aspettativa mediana dei membri del Fomc indica tre ulteriori aumenti dei tassi d’interesse da 25 punti base nel corso del 2017, che potrebbero divenire almeno quattro non appena ci sarà un quadro più chiaro.
È probabile che l’inflazione aumenti più velocemente, anche se in parte questo sarà contrastato dal dollaro forte, mentre in direzione opposta potrebbe agire l’introduzione di una qualche forma di tassazione sulle importazioni statunitensi. Finora, l’andamento del mercato del lavoro, già in forte tensione, si è accompagnato a rialzi salariali sorprendentemente moderati, e questi sono gli unici che possono riportare l’inflazione verso l’alto in modo duraturo. Le nuove politiche potrebbero contribuire ad aumentare la crescita potenziale, se — e sottolineo se — i piani d’investimento pubblici favoriranno i progetti che innalzano la crescita e non ci saranno scelte inappropriate in materia di politica industriale, commerciale e sull’immigrazione. In realtà, i problemi strutturali che in passato hanno frenato la crescita economica globale e quella degli Stati Uniti — la cosiddetta secular stagnation — è improbabile cambino in modo radicale, in particolare:
1) l’importante cambiamento demografico in atto nel mondo, e negli Stati Uniti, con un costante declino della popolazione in età lavorativa; 2) una ben consolidata tendenza al ribasso della crescita della produttività, e quindi delle stime sulla crescita potenziale; 3) una costante tendenza al calo degli investimenti pubblici e privati, che la nuova politica del governo degli Stati Uniti può solo in parte correggere; 4) una continua decelerazione del commercio mondiale, che potrebbe accentuarsi se venissero introdotte politiche protezionistiche; 5) un declino strutturale dell’inflazione che ha varie cause, in primis l’eccesso di capacità produttiva mondiale e i prezzi strutturalmente più bassi delle materie prime; 6) l’effetto depressivo della riduzione della leva finanziaria in tutto il mondo, inclusi gli Stati Uniti.
Non è escluso che le riforme economiche possano in parte invertire queste tendenze, almeno negli Stati Uniti, ma l’incertezza è ancora elevata. Nel complesso, ci saranno importanti cambiamenti di politica economica negli Stati Uniti che potrebbero avere un impatto sia sull’evoluzione congiunturale sia sulla crescita potenziale. Il cambiamento per la crescita sarà positivo e strutturale solo se sarà in grado di ridurre il costo reale del capitale e aumentare il rendimento reale atteso dell’investimento, dando in tal modo una spinta non solo agli investimenti pubblici ma anche, e soprattutto, a quelli privati. Però, in questo momento, un po’ di sano scetticismo non guasta.