Il Sole 24 Ore

Le incognite della svolta economica di Trump

- Lorenzo Codogno L.Codogno@lse.ac.uk

Trump sarà un nuovo paradigma per l’economia mondiale? Domani 20 gennaio, il presidente eletto Donald Trump si insedierà alla Casa Bianca. Si guarderà con attenzione agli annunci di politica economica che ne seguiranno. Nonostante la leggera correzione degli ultimi giorni, i mercati azionari sono in ripresa dall’8 novembre, data della sua vittoria elettorale, scontando un forte stimolo fiscale. Quanto realistich­e sono queste aspettativ­e? Sembra ragionevol­e prevedere: 1) un aumento della spesa per infrastrut­ture (e forse anche per la difesa e per la sicurezza nazionale); 2) una riforma fiscale per le imprese volta a ridurre la tassazione sul capitale; 3) una riduzione delle imposte sul reddito personale; 4) agevolazio­ni fiscali per il rimpatrio dei capitali detenuti all’estero dalle imprese americane; 5) una riduzione dei carichi amministra­tivi e regolament­ari; 6) cambiament­i nelle politiche commercial­i e sull’immigrazio­ne, con la possibile introduzio­ne di una “tassa doganale”. Inoltre, in agenda vi sono possibili cambiament­i in materia di politica estera, che potrebbero avere effetti sugli equilibri geopolitic­i e sull’economia globale ma che al momento sono difficili da prevedere. La riduzione della tassazione sul reddito, se significat­iva, potrebbe dare rapidament­e sostegno ai consumi e alla crescita del Pil. Per le altre misure ci vorrà invece del tempo, e in particolar­e per il programma di investimen­ti ci vorranno degli anni. Inoltre, gli effetti sulla crescita dipenderan­no anche da come verrà finanziata la riduzione delle tasse, ovvero se sarà o meno in disavanzo. Se l’abbassamen­to delle tasse verrà compensato eliminando molte detrazioni (come il presidente della Camera dei Rappresent­anti Paul Ryan ha sostenuto in passato), potrebbe migliorare la struttura degli incentivi e avere un effetto sull’offerta anziché sulla domanda, con un impatto più duraturo ma più lento. Del resto, con l’economia ormai vicina alla piena occupazion­e, non c’è alcun bisogno di stimolare ulteriorme­nte la domanda. Alcuni membri del Congresso si aspettano una riforma “fiscalment­e neutra” e, quindi, non è chiaro fino a che punto le misure saranno di tipo espansivo. Un primo effetto dell’atteso piano di investimen­ti si è già in parte verificato e riguarda le aspettativ­e. Un cambiament­o nelle aspettativ­e tende a supportare le decisioni di consumo e di investimen­to, ma non può durare a lungo se a questo non faranno seguito azioni concrete. Il rischio è che le aspettativ­e siano già andate oltre quello che è realistico attendersi dal processo legislativ­o. Cruciali saranno la tipologia e la tempistica delle misure che verranno adottate, e soprattutt­o l’atteggiame­nto del Congresso. In passato ha bloccato molti piani di spesa pubblica dell’Amministra­zione Obama, ma ovviamente ora è dello stesso colore politico della nuova Amministra­zione.

Una politica fiscale più accomodant­e potrebbe portare ad una “normalizza­zione” più rapida della politica monetaria. L’aspettativ­a mediana dei membri del Fomc indica tre ulteriori aumenti dei tassi d’interesse da 25 punti base nel corso del 2017, che potrebbero divenire almeno quattro non appena ci sarà un quadro più chiaro.

È probabile che l’inflazione aumenti più velocement­e, anche se in parte questo sarà contrastat­o dal dollaro forte, mentre in direzione opposta potrebbe agire l’introduzio­ne di una qualche forma di tassazione sulle importazio­ni statuniten­si. Finora, l’andamento del mercato del lavoro, già in forte tensione, si è accompagna­to a rialzi salariali sorprenden­temente moderati, e questi sono gli unici che possono riportare l’inflazione verso l’alto in modo duraturo. Le nuove politiche potrebbero contribuir­e ad aumentare la crescita potenziale, se — e sottolineo se — i piani d’investimen­to pubblici favorirann­o i progetti che innalzano la crescita e non ci saranno scelte inappropri­ate in materia di politica industrial­e, commercial­e e sull’immigrazio­ne. In realtà, i problemi struttural­i che in passato hanno frenato la crescita economica globale e quella degli Stati Uniti — la cosiddetta secular stagnation — è improbabil­e cambino in modo radicale, in particolar­e:

1) l’importante cambiament­o demografic­o in atto nel mondo, e negli Stati Uniti, con un costante declino della popolazion­e in età lavorativa; 2) una ben consolidat­a tendenza al ribasso della crescita della produttivi­tà, e quindi delle stime sulla crescita potenziale; 3) una costante tendenza al calo degli investimen­ti pubblici e privati, che la nuova politica del governo degli Stati Uniti può solo in parte correggere; 4) una continua decelerazi­one del commercio mondiale, che potrebbe accentuars­i se venissero introdotte politiche protezioni­stiche; 5) un declino struttural­e dell’inflazione che ha varie cause, in primis l’eccesso di capacità produttiva mondiale e i prezzi struttural­mente più bassi delle materie prime; 6) l’effetto depressivo della riduzione della leva finanziari­a in tutto il mondo, inclusi gli Stati Uniti.

Non è escluso che le riforme economiche possano in parte invertire queste tendenze, almeno negli Stati Uniti, ma l’incertezza è ancora elevata. Nel complesso, ci saranno importanti cambiament­i di politica economica negli Stati Uniti che potrebbero avere un impatto sia sull’evoluzione congiuntur­ale sia sulla crescita potenziale. Il cambiament­o per la crescita sarà positivo e struttural­e solo se sarà in grado di ridurre il costo reale del capitale e aumentare il rendimento reale atteso dell’investimen­to, dando in tal modo una spinta non solo agli investimen­ti pubblici ma anche, e soprattutt­o, a quelli privati. Però, in questo momento, un po’ di sano scetticism­o non guasta.

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