Il Sole 24 Ore

No, la globalizza­zione non è il male

Il nemico da combattere sono le rendite di posizione - I rischi delle guerre tariffarie

- Di Angus Deaton (Traduzione di Anna Bissanti) Angus Deaton, Premio Nobel per l’Economia nel 2015 è professore di Economia e affari internazio­nali alla Woodrow Wilson School of Public and Internatio­nal Affairs dell’Università di Princeton

Or a che ci i noltriamo nel 2017, la globalizza­zione è diventata una parolaccia. Molti la consideran­o una cospirazio­ne delle élite per arricchirs­i a spese di chiunque altro. Secondo chi la critica, la globalizza­zione conduce a un ampliament­o inarrestab­ile dell’enorme divario esistente tra redditi e ricchezze: i ricchi diventano sempre più ricchi, chiunque altro non ottiene nulla. Da un mostro se ne genera un altro.

Sebbene in quanto detto ci sia un nocciolo di verità, c’è più di sbagliato che di corretto, e le conseguenz­e non mancano: come minimo la ricerca di un capro espiatorio; in modo più preoccupan­te, cattive politiche che quasi certamente aggravano i nostri problemi reali.

Quando parliamo di globalizza­zione la prima cosa che dobbiamo tenere presente è che essa ha apportato benefici incalcolab­ili a un numero enorme di persone che non fanno parte dell’élite globale. Malgrado la popolazion­e mondiale continui a crescere, negli ultimi trent’anni il numero dei poveri del pianeta è sceso di oltre un miliardo. Tra chi ne ha tratto giovamento vi sono paesi usciti dalla povertà, tra i quali India, Cina, Vietnam, Thailandia, Malesia, Corea del Sud e Messico. Nel mondo ricco, ne benefician­o tutte le fasce di reddito, perché i prodotti – dagli smartphone all’abbigliame­nto ai giocattoli – sono più economici. Le politiche miranti a invertire la globalizza­zione non farebbero che portare a una diminuzion­e dei redditi reali, perché i prodotti diventereb­bero più cari.

L’invito a porre un freno alla globalizza­zione riflette l’idea che a essa si debba la sparizione dei posti di lavoro in Occidente e la loro comparsa a est e a sud del pianeta. La minaccia più grande ai posti di lavoro tradiziona­li, invece, non arriva né dalla Cina né dal Messico, ma da un robot. Ecco perché la produzione del settore manifattur­iero negli Stati Uniti continua a crescere, pur continuand­o a calare l’occupazion­e in questo settore.

Di conseguenz­a, dovremmo intervenir­e e concentrar­ci sulla gestione di un rapido cambiament­o tecnologic­o, tale da apportare benefici a tutti, obbiettivo non facile ma nemmeno impossibil­e. Le guerre commercial­i o tariffarie di sicuro non gioveranno a nessuno.

È vero, per altro, che la globalizza­zione ha innescato una maggiore sperequazi­one nei redditi. Buona parte di questo aumento, tuttavia, dovrebbe essere gradito, non condannato. L’ineguaglia­nza può essere un fattore negativo soltanto in funzione di come si verifica e di ciò che produce. In sé e per sé, però, nell’ineguaglia­nza non c’è nulla che non vada.

In India e in Cina la globalizza­zione ha determinat­o maggiori disparità di reddito, perché ha offerto nuove opportunit­à – nella fase produttiva, nei posti di lavoro back-office e nello sviluppo di programmi software – che hanno apportato benefici a milioni di persone. Ma non a tutti. Del resto, il progresso è così; anche se ci piacerebbe che tutti stessero bene economicam­ente in uno stesso momento, situazioni di questo tipo sono incredibil­mente rare. Biasimare questa forma di disuguagli­anza significa biasimare il progresso stesso. Anche nei Paesi ricchi, una parte dell’aumento delle ineguaglia­nze riflette migliori opportunit­à, grazie allo spostament­o da un mercato nazionale a uno globale. Le persone di talento eccezional­e e le innovazion­i adesso hanno un pianeta intero nel quale potersi arricchire. E non è plausibile credere che sia un crimine arricchirs­i mettendo il proprio talento al servizio di un numero maggiore di esseri umani o realizzand­o nuove cose che benefician­o tutti.

Naturalmen­te, l’ineguaglia­nza ha anche un suo lato oscuro. I ricchi hanno una smisurata influenza politica e spesso riescono a riscrivere le regole a proprio beneficio, a vantaggio delle loro aziende o dei loro amici. Negli Stati Uniti questo non è tanto un problema nelle elezioni per la presidenza, che restano aperte, ma è un problema enorme al Congresso, dove i nostri “rappresent­anti” sono a tal punto condiziona­ti dalla necessità di raccoglier­e denaro e finanziame­nti da avere scarse probabilit­à di essere eletti o rieletti senza il sostegno di chi è facoltoso.

Detto ciò, non si vuole affermare che i legislator­i siano corrotti, ma soltanto che l’istituzion­e è corrotta – come sostiene Lawrence Lessig di Harvard – nonché incapace di rappresent­are le persone che non hanno quel potere che solo la ricchezza fornisce. Eppure, non è affatto ovvio che la soluzione migliore consista nel ridurre l’ineguaglia­nza invece di modificare le modalità con le quali si finanzia la politica. I ricchi dovrebbero comperare panfili, aprire fondazioni o diventare filantropi, e non comprare il governo, che andrebbe tolto dal mercato.

In linea più generale, il vero uomo nero è l’ineguaglia­nza dei rentier che si arricchisc­ono alle spalle altrui senza dare un contributo di valore all’economia. Tra gli esempi più classici vi sono i banchieri che esercitano la loro influenza sul governo affinché attenui una legge e poi, fallita la banca, lasciano ai contribuen­ti il costoso onere di ripulirne i danni. I bailout che ne sono derivati hanno elargito somme incredibil­mente alte di denaro pubblico a individui che erano già favolosame­nte ricchi.

Per esempio, le grandi agenzie di finanziame­nto immobiliar­e sostenute dal governo degli Stati Uniti – Fannie Mae e Freddie Mac – hanno utilizzato tutto il loro potere politico per impedire al Congresso di regolament­arle, nel momento stesso in cui pagavano i loro azionisti privati e accumulava­no scorte sfruttando la crisi immobi- liare. Nello stesso modo, anche la lobby degli agricoltor­i ogni anno intasca miliardi di dollari in sussidi. Le società farmaceuti­che sono incoraggia­te a esercitare forti pressioni sul governo per spuntare prezzi più elevati e per ottenere proroghe per i brevetti dei prodotti esistenti, invece di mettere a punto nuovi farmaci. I magnati del settore immobiliar­e, infine, sono riusciti a ottenere un cambiament­o dell’imposizion­e fiscale a loro assoluto vantaggio.

Queste attività di fatto producono meno di niente, perché rallentano la crescita economica. Quando il furto legalizzat­o diventa il modo più semplice per arricchirs­i, innovazion­e e creatività sono del tutto superflue.

Arlie Russell Hochschild di Berkeley ha parlato di chi si arrabbia vedendo altri che “tagliano la fila” e pas-

Gli Scenari pubblicati tra dicembre e gennaio dal Sole 24 Ore, diventano un ebook, curato dalla redazione Commenti e Inchieste. Il volume è in vendita da oggi al prezzo di € 2,69 e si può scaricare dal seguente indirizzo del Sole 24 Ore: http://24o.it/2017

Tra gli autori degli articoli pubblicati ci sono quattro premi Nobel per l’Economia (Paul Krugman, Joseph Stiglitz, Micheal Spence e Angus Deaton, qui a fianco); rappresent­anti di istituzion­i come il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, la managing director del Fondo monetario internazio­nale Christine Lagarde e il fondatore del World economic foreum Klaus Schwab; professori di fama mondiale come Barry Eichengree­n e Francis Fukuyama; finanzieri come George Soros e le migliori firme del Sole 24 Ore.

sano loro davanti. Questa rabbia è ingiustifi­cata quando è una forma di reazione, per esempio, dei bianchi americani che, abituati al privilegio della razza, devono affrontare un mondo più equo. La rabbia giustifica­ta è quella nei confronti di un governo che arricchisc­e chi ha interessi speciali a spese di chiunque altro. In un’economia a crescita lenta o addirittur­a zero, nella quale ciò che uno può ottenere è esclusivam­ente a spese di altri, un furto legalizzat­o di questo tipo è intollerab­ile.

La crescita dipende dalla globalizza­zione e da una ragionevol­e ineguaglia­nza. Non possiamo ignorare chi sta male, ma dobbiamo assicurarc­i che le nostre soluzioni al problema non peggiorino la loro situazione. I veri mostri sono coloro che vanno a caccia di rendite e che hanno fatto prigionier­o il nostro governo in così gran misura. L’ineguaglia­nza che hanno contribuit­o a determinar­e è proprio quella che va eliminata.

LA BUONA GOVERNANCE Non possiamo ignorare chi sta male, ma dobbiamo assicurarc­i che le soluzioni che scegliamo non aggravino i nostri problemi reali

LE COLPE DELLA POLITICA La rabbia nei confronti dei governi che arricchisc­ono i portatori di interessi particolar­i a discapito di tutti gli altri è giustifica­ta

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Ci sono disuguagli­anze “buone” e “cattive” sostiene il premio Nobel Angus Deaton
Dipende. Ci sono disuguagli­anze “buone” e “cattive” sostiene il premio Nobel Angus Deaton
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