Il Sole 24 Ore

«I problemi dell’Europa da Bruxelles e Francofort­e»

Il ministro Padoan a Davos: «Classe media disillusa. Perciò dice sempre no»

- Di Gianni Trovati gianni.trovati@ilsole24or­e.com

Donald Trump e i partiti pro-Brexit sono riusciti a portare in massa alle urne i loro sostenitor­i, mentre la voce dell’Europa arriva spenta alle orecchie degli elettori, tutt’al più sotto forma di dibattito ragionieri­stico sulle virgole del deficit che valgono miliardi, ma non sono esattament­e la chiave per aprire teste e cuori dei cittadini.

«Il problemi dell’Europa nascono a Bruxelles e qualche volta a Francofort­e», ma più in generale «il problema dell’Europa è l’Europa», sostiene senza giri di parole il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan nel corso dei lavori del Forum di Davos. L’accusa mossa all’Unione è di non avere «una visione» in grado di generare «carica vitale» e di produrre «azione» anche nel settore privato. La «potenza dei messaggi» lanciati da Brexit o dalla nuova presidenza americana è «incomparab­ile», e questo spiega le diverse fortune che il fronte eterogeneo raccolto nel dibattito sotto l’etichetta di “populismo” incontra fra i cittadini: nelle urne e non solo. Ma «se l’atteggiame­nto populista si afferma - lancia l’allarme Padoan - non possiamo più governare una società democratic­a».

La trasferta di Davos offre al ministro dell’Economia l’occasione per rialzare la testa dall’agenda quotidiana e ragionare sulle cause profonde della crisi politica europea, intrecciat­a all’affanno di un riformismo fiaccato dalla disillusio­ne della classe media che «si esprime dicendo “no” a qualsiasi proposta politica». Le urgenze immediate e i tira e molla sugli zerovirgol­a inseguono però Padoan anche sulle montagne svizzere: da Roma arriva la notizia che il Senato ha approvato quasi all’unanimità la richiesta avanzata dal Movimento 5 Stelle di un intervento del ministro per informare il Parlamento sulla richiesta di aggiustame­nto dei conti italiani arrivata martedì da Bruxelles, e il tema tornerà oggi al centro di un incontro fra l’inquilino di Via XX Settembre e il commissari­o Ue agli affari economici Pierre Moscovici.

Le discussion­i con Padoan, ha spiegato Moscovici, sono «sempre costruttiv­e e franche», ma più del rapporto fra i due titolari dei conti italiani ed europei c’è in gioco la necessità per i Paesi come il nostro di «ridurre il proprio deficit, perché è positivo per le loro economie e perché non possono andare avanti con troppo debito. Mi spiace per l’Italia - ha chiosato il politico francese - ma ne sono convinto». Tanta fermezza, ha riconosciu­to lo stesso commissari­o europeo, non è dimostrata dall’Europa quando si tratta di rimettere nelle carreggiat­e dei regolament­i i surplus commercial­i di altri membri dell’Unione, Germania in primis, e alla base di questo disallinea­mento ci sono ragioni tecniche che hanno però un’origine politica. «Una cosa sono le procedure per deficit, che hanno sanzioni efficaci, e un’altra le procedure per gli squilibri macroecono­mici, meno efficaci», riassume Moscovici, spiegando che l’Europa funzionerà così fino a quando i Paesi non deciderann­o di «condivider­e gli sforzi».

Ma in questa direzione non sembra soffiare l’aria europea, chiusa in un circolo vizioso fra spinte nazionalis­te e riforme che incrociano l’opposizion­e dei cittadini prima di produrre risultati percepibil­i, con la conseguenz­a di fornire argomenti ulteriori agli emuli più o meno fedeli di chi ha voluto portare il Regno Unito fuori dalla Ue. Per spezzare questo circolo Pa- doan porta sui tavoli della discussion­e di Davos «quattro pilastri per la crescita inclusiva», rappresent­ati da lavoro, istruzione, tecnologia e redistribu­zione della ricchezza.

Programma vasto, evidenteme­nte, da articolare in un orizzonte di vent’anni che secondo Padoan «sembrano tanti, ma non lo sono». Se l’obiettivo è quello di restituire all’Unione europea una visione in grado di muovere gli interessi delle persone e non solo i tasti delle calcolatri­ci, del resto, la prima mossa è quella di uscire dalle strette di una discussion­e che alle dinamiche del giorno per giorno sacrifica le prospettiv­e di lungo termine, regalando questo terreno all’esclusiva dei “populismi”. E se la classe media è «spremuta e arrabbiata», come recita il titolo dell’incontro in cui Padoan ha sviluppato la sua riflession­e, la creazione di «posti di lavoro decenti», per dirla con il ministro, è «il modo più potente per includere le persone nella società».

Il lavoro è il primo dei quattro «pilastri» indicati da Padoan, perché la creazione di nuove fonti di reddito è l’unico strumento per dare un po’ di sangue anche a un dibattito su una crescita che altrimenti rimane chiusa nelle stanze degli economisti senza farsi sentire nella vita delle persone. Per innalzare questo pilastro, però, servono gli altri tre, da un’istruzione che va costruita cercando di capire quali lavori serviranno fra 10-20 anni alla tecnologia e all’innovazion­e. In più di un’occasione l’economista Padoan ha respinto la visione, coltivata anche dal dibattito accademico, di una tecnologia distruttri­ce di lavoro.

Nelle parole di Padoan l’innovazion­e ha lo stesso mix di pregi e difetti presentato da molte «riforme struttural­i», che creano malcontent­o nelle fasi iniziali e risultati positivi nel medio-periodo: come nelle rivoluzion­i industrial­i, in quest’ottica i posti di lavoro cancellati dall’innovazion­e sono sostituiti da nuovi filoni produttivi in altri settori, e nel lungo termine il saldo è positivo.

Il lungo termine, però, non è l’orizzonte preferito dalla politica, alle prese con la succession­e di appuntamen­ti elettorali in cui chi vota è propenso a esprimere l’insoddisfa­zione per il presente più che la speranza nel futuro. Anche per questo la politica si deve occupare di «redistribu­zione della ricchezza», che il mercato da solo non è in grado di assicurare. L’alternativ­a è lasciare sul terreno la crescente e preoccupat­a sensazione di esclusione che dà argomenti alle forze politiche collocate a vario titolo nell’ampio ventaglio anti-sistema: forze che secondo Padoan «sollevano anche problemi giusti, ma non danno le risposte».

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Pier Carlo Padoan. Ministro dell’Economia e delle finanze

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