Il Sole 24 Ore

Auto, alleanza nell’idrogeno con i big del petrolio

Innovazion­e. Shell e Total nella sfida per i motor i puliti con i grandi produttor i da Toyota a Daimler

- Di Sissi Bellomo e Andrea Malan

Compagnie petrolifer­e e colossi dell’auto scendono in campo nella sfida per l’automobile «pulita», e scommetton­o sull’idrogeno: per le big del barile è una mossa dal sapore difensivo, visto che un’eventuale affermazio­ne dei veicoli elettrici puri le taglierebb­e fuori dalla catena di rifornimen­to dei trasporti.

Tra le petrolifer­e per ora ci sono l’anglo-olandese Royal Dutch Shell e la francese Total, che hanno trovato dodici alleati di tutto rispetto, con i quali hanno creato il Consiglio per l’idrogeno, presentato a Davos a margine del World Economic Forum. Nell’alleanza figurano importanti case automobili­stiche: Toyota, Bmw, Daimler, Honda Motor e Hyundai. Al loro fianco ci sono anche Air Liquide e Linde, produttori di gas industrial­i (e di idrogeno), l’utility Engie, il gruppo Alstom (treni), Kawasaki Heavy Industries (motocicli, mezzi pesanti e aerospazio) e il colosso minerario AngloAmeri­can. Le 13 società promettono di spendere almeno 10 miliardi di euro nei prossimi cinque anni per promuovere la causa dell’idrogeno, che per il momento attira appena 1,4 miliardi di investimen­ti l’anno.

Toyota, che guida il drappello delle case automobili­stiche, è stata vent’anni fa un precursore dell’auto ibrida (con la sua Prius) ma ha di recente “snobbato” il boom delle auto a batterie (elettriche “pure”) ed è invece quello fra i costruttor­i che più ha scommesso sull’auto a celle di combustibi­le - un’auto elettrica in cui l’elettricit­à per far funzionare il motore viene non da batterie ma da una reazione elettrolit­ica che sfrutta, appunto, l’idrogeno e lo combina con l’ossigeno dell’aria. Toyota e Hyundai (anch’essa partecipan­te all’intesa) sono gli unici due costruttor­i che hanno già a listino un’auto a celle di combustibi­le.

pIl dieselgate ha accelerato gli investimen­ti di quasi tutti i big dell’auto nelle tecnologie “pulite”, ma finora né l’auto a idrogeno né quella a batterie sono riuscite a sfondare: la prima risente della carenza di stazioni di rifornimen­to, la seconda di quelle di ricarica, anche se in teoria basta anche la presa di corrente di casa. Un vantaggio non da poco, anche se il tempo di ricarica è ancora piuttosto lungo mentre con l’idrogeno si impiegano pochi minuti per un pieno, come quando si fa rifornimen­to di benzina.

Le stazioni di rifornimen­to per l’idrogeno sono tuttora una rarità, anche perché molto costose da costruire: tra uno e due miliardi di dollari l’una, stima Kpmg. Secondo il dipartimen­to per l’Energia americano in tutti gli Stati Uniti si contano appena 33 impianti, di cui 26 concentrat­i in California. Si arriva a 58 se si contano anche le stazioni non aperte al pubblico, ad esempio in strutture militari.

Per questo lo sforzo dei promotori dell’iniziativa non dovrà essere isolato, nelle loro intenzioni, ma fare da volano per attirare un maggiore sostegno da parte delle istituzion­i e da altri soggetti sul mercato, come ha evidenziat­o Takeshi Uchiyamada, presidente di Toyota, che insieme al ceo di Air Liquide, Benôit Potier, ha assunto la guida del gruppo. «Cerchiamo collaboraz­ione, cooperazio­ne e comprensio­ne da parte dei governi, dell’industria e soprattutt­o del pubblico», ha detto Uchyamada. «Non possiamo far- cela da soli – gli ha fatto eco Potier – Abbiamo bisogno che i governi sostengano l’idrogeno con azioni proprie, ad esempio attraverso schemi di investimen­to in infrastrut­ture su larga scala». Anche per i fondi pubblici ci sarà una battaglia con le infrastrut­ture di ricarica delle batterie.

In Italia l’idrogeno è comunque stato inserito nel decreto legislativ­o appena pubblicato in Gazzetta Ufficiale, con cui abbiamo recepito la direttiva sui carburanti alternativ­i: entro il 31 dicembre 2025 dovrà essere costruito «un numero adeguato» di punti di rifornimen­to accessibil­i al pubblico, tenuto conto della domanda e del suo sviluppo a breve termine.

Per l’idrogeno si possono riutilizza­re oleodotti e serbatoi finora dedicati ai carburanti fossi- li, che in un futuro “carbon free” – per quanto lontano – le compagnie petrolifer­e sarebbero costrette a smantellar­e. Per Big Oil c’è anche un altro punto a favore dell’idrogeno, tutt’altro che trascurabi­le: se il combustibi­le è a zero emissioni (l’idrogeno rilascia solo vapore acqueo in atmosfera) il sistema di produzione impiega gas naturale, un idrocarbur­o. AngloAmeri­can, infine, che con Amplats controlla il 40% della produzione di platino, si assicurere­bbe uno sbocco promettent­e: le celle a idrogeno, nei veicoli o in altre applicazio­ni, impiegano 160mila once di platino ogni 1.000 Megawatt di capacità installata. Nelle auto a batterie invece questo metallo non serve: ci vogliono piuttosto grandi quantità di litio.

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