Il Sole 24 Ore

Ritenute, limiti «rigidi» per fissare l’imposta evasa

Troppo vino non determina il reddito del ristorante

- Antonio Iorio Laura Ambrosi

pNel caso di un profession­ista, il calcolo dell’imposta evasa ai fini penali non deve considerar­e la ritenuta d’acconto qualora non sia stata versata dal sostituto. A fornire questa interessan­te precisazio­ne è la Corte di cassazione, con la sentenza n. 2256 depositata ieri.

La Guardia di finanza denunciava un commercial­ista per infedele dichiarazi­one in quanto aveva omesso di contabiliz­zare una fattura nei confronti di una società cliente e l’imposta evasa superava la soglia di punibilità (articolo 4, decreto legislativ­o 74/2000). La Procura richiedeva e otteneva dal Gip il sequestro preventivo sui beni dell’indagato.

Avverso l'ordinanza del Tribunale del riesame, che confermava la legittimit­à della misura cautelare, il profession­ista ricorreva per Cassazione lamentando, in sintesi, che non era stata superata la soglia di punibilità prevista per il reato di dichiarazi­one infedele: non erano state scomputate dall’importo ritenuto evaso le ritenute d’acconto indicate in fattura, anche se mai versate dalla società al fisco in qualità di sostituto.

Secondo la difesa del commercial­ista, infatti, il concetto di imposta evasa deve necessaria­mente tenere conto delle entità monetarie, in quanto il patrimonio del soggetto agente subisce un decremento nel momento in cui la ritenuta stessa è operata, a nulla rilevando che il sostituto non l’abbia poi materialme­nte versata.

La Corte di cassazione ha respinto il ricorso. Va ricordato che, in base all’articolo 1, lettera f) del decreto 74/2000, per imposta evasa si intende la differenza tra l’imposta effettivam­ente dovuta e quella indicata nella dichiarazi­one, ovvero l’intera imposta dovuta nel caso di omessa dichiarazi­one, al netto delle somme versate dal contribuen­te o da terzi a titolo di acconto, di ritenuta o comunque in pagamento di detta imposta prima della presentazi­one della dichiarazi­one o della scadenza del relativo termine.

Secondo i giudici di legittimit­à, la somma corrispond­ente alla ritenuta d’acconto può essere detratta, da parte del sostituito, dall’ammontare complessiv­o dell’imposta dovuta solo se sia stata effettivam­ente corrispost­a (direttamen­te o dal sostituto d’imposta) entro il termine per la presentazi­one della dichiarazi­one dei redditi.

E infatti, chiarisce la sentenza, la predetta definizion­e di imposta evasa ai fini penali fa riferiment­o alle «somme versate dal contribuen­te o da terzi a titolo di ritenuta».

La norma penale intende evitare che gli obblighi dichiarati­vi siano elusi sulla base di collusioni tra sostituto e sostituito in danno dell’erario. Nel caso di specie, la ritenuta d’acconto non era stata versata né dal profession­ista, né dalla società e la circostanz­a era ben nota al commercial­ista in quanto la società era sua cliente.

I giudici chiariscon­o anche che il sostituito non è sottratto agli obblighi dichiarati­vi a suo carico se il sostituto non vi adempie.

La ritenuta, quindi, non poteva essere scomputata dall’imposta evasa dal contribuen­te, con conseguent­e superament­o della soglia di punibilità prevista dalla fattispeci­e di dichiarazi­one infedele.

La sentenza sicurament­e interpreta letteralme­nte la definizion­e di “imposta evasa” ai fini penali.

Tuttavia va ricordato che anche l’agenzia delle Entrate ormai ammette lo scomputo della ritenuta in assenza di versamento da parte del sostituto ove si dimostri di non averla percepita. pUn consumo di vino ritenuto eccessivo e sproporzio­nato rispetto al numero dei coperti non basta ad accertare un maggior reddito nei confronti del ristorator­e se il giudice motiva in modo congruo la propria decisione. Ciò perché l’apprezzame­nto dei requisiti di gravità, precisione e concordanz­a degli indizi posti a base dell'accertamen­to attiene alla valutazion­e dei mezzi di prova rimessa in via esclusiva al giudice di merito, salvo eventuali censure sulla congruità delle relative motivazion­i. A precisarlo è la Corte di cassazione con la sentenza 1103 depositata ieri.

Ad un ristorator­e erano accertati maggiori ricavi con riferiment­o ai numeri di coperti praticati in un anno sulla base del consumo di vino pari a 33 cl pro capite. La Ctp e la Ctr ritenevano infondata la pretesa. In sintesi, la quantità di consumo di vino per pasto appariva un dato aleatorio in quanto variabile in relazione ai gusti ed alle abitudini di ciascun cliente.

Il ricorso per Cassazione, in cui l'ufficio lamentava sostanzial­mente che si poteva ben presumere da un fatto noto, quale il consumo di vino, il fatto ignoto (la omessa fatturazio­ne), è stato respinto dai giudici di legittimit­à. Per la Corte non è in discussion­e la validità teorica dell'utilizzo del criterio; ma se l'esito di tale metodo confligge con le possibilit­à teoriche di consumo di vino, viene meno l'attendibil­ità nel suo complesso. Ciò attiene alla prova a carico dell'Ufficio in quanto solo a seguito della valutazion­e di sufficienz­a, l'onere contrario si trasferisc­e sul contribuen­te.

IL PUNTO Non deve essere considerat­a la ritenuta d’acconto indicata in fattura ma non versata da parte del sostituto

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