Il Sole 24 Ore

Pronti contro termine, niente stretta del fisco sui differenzi­ali negativi

- Giacomo Albano

pI differenzi­ali negativi derivanti da contratti di pronti contro termine “attivi” (posti in essere per realizzare operazioni di investimen­to di liquidità) non sono soggetti al regime fiscale degli interessi passivi, in quanto la loro funzione economica è quella di ricondurre il rendimento attivo di un impiego di capitali a quanto previsto dagli accordi contrattua­li e non di remunerare la raccolta di capitale. È quanto emerge dalla sentenza della Ctp di Torino, sez. 10, n. 1997, depositata il 19 dicembre 2016, che ha accolto il ricorso di una banca, annullando l’avviso di accertamen­to con cui le Entrate avevano contestato la non corretta determinaz­ione degli interessi passivi indeducibi­li.

La controvers­ia riguarda l’applicabil­ità del limite di deducibili­tà degli interessi passivi previsto dall’articolo 96, comma 5-bis, del Tuir ai differenzi­ali negativi da contratti di pronti contro termine (Pct). La norma – dal 2017 applicabil­e solo al comparto assicurati­vo - prevede che gli interessi passivi sostenuti da banche e assicurazi­oni sono deducibili nei limiti del 96%, a fronte della piena imponibili­tà degli interessi attivi.

La banca aveva posto in essere operazioni “attive” di Pct, aveva cioè acquistato “a pronti” dei titoli da un terzo che si era impegnato a riacquista­rli “a termine” a un prez- zo prefissato. Questa operazione per l’acquirente a pronti rappresent­a un impiego di liquidità, remunerata attraverso la correspons­ione di un interesse contrattua­le da parte del venditore. L’interesse può essere superiore o inferiore a quello dei titoli; nel primo caso al termine del contratto vi sarà un “pagamento” in favore dell’acquirente a pronti (sotto forma di differenzi­ale tra prezzo di vendita a pronti e prezzo di acquisto a termine), nel secondo sarà l’acquirente a pronti a riconoscer­e un differenzi­ale al venditore. Secondo le Entrate il differenzi­ale dovuto dalla banca (acquirente a pronti) - nel caso in cui gli interessi attivi percepiti sui titoli risultino superiori al rendimento pattuito – andava considerat­o alla stregua di un interesse passivo e reso indeducibi­le per il 4 per cento. La tesi dell’Agenzia era probabilme­nte basata sulla circolare 19/E/2009 che aveva previsto che nelle operazioni di Pct su titoli (ma aventi funzione di raccolta) il differenzi­ale negativo fra prezzo a pronti e prezzo a termine rientra tra gli oneri finanziari assimilati, da assoggetta­re ai limiti dell’articolo 96. Al contrario, la banca ricorrente aveva considerat­o tale differenzi­ale quale posta rettificat­iva degli interessi attivi percepiti sui titoli acquistati a pronti, posta la sua funzione di rettificar­e (in funzione degli accordi contrattua­li) il rendimento complessiv­o dell’operazio- ne di impiego del capitale.

Il comportame­nto della banca è stato ritenuto corretto dai giudici di Torino, sulla base di una motivazion­e economica: entrando in operazioni di Pct “attive”, l’acquirente a pronti assume la posizione di finanziato­re; per definizion­e, quindi, i differenzi­ali a carico dello stesso non possono avere natura di interessi passivi, non essendo corrispost­i a fronte di raccolta di capitale, ma del suo impiego. Questi differenzi­ali, nella sostanza, hanno la natura dei proventi generati dai Pct e rappresent­ano una componente con la stessa funzione economica rispetto all’interesse attivo del titolo. Questa conclusion­e, peraltro, è stata già condivisa dalla stessa Agenzia nella risoluzion­e n. 56/E/2010 riguardant­e la rilevanza ai fini Irap dei componenti positivi e negativi prodotti dai contratti derivati di copertura delle operazioni finanziari­e attive.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy