Stampa e diritti Se non si offende l’onore si può criticare il politico
pL egittima la critica dell’operato di un politico, purché il giornalista non finalizzi l’articolo a colpirne la sfera privata con aggressioni verbali gratuite. Rispettato tale limite, a prevalere sul diritto all’onore e alla reputazione del personaggio pubblico sarà il diritto di critica. Lo precisa la Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 6078 del 14 ottobre 2016. A muovere la questione, è la decisione di un senatore di citare, dinanzi al Tribunale, per diffamazione a mezzo stampa, i giornalisti che avevano firmato articoli, a suo dire lesivi della sua reputazione. Chiamata in causa, anche l’editrice del quotidiano. Richiesta respinta: le frasi incriminate non erano diffamatorie né frutto di «dileggio personale» ma mera espressione «della critica serrata e dissenziente dei giornalisti» inserita, peraltro, nel contesto di un acceso dibattito politico dell’epoca. Il senatore, però, propone appello. La sentenza impugnata, marca l’avvocato nel ricorso, aveva erroneamente escluso la natura diffamatoria di articoli che, invece, contenevano affermazioni oggettivamente infamanti, slegate dall’attività politica dell’assistito e tese solo a screditarlo. Ma il Collegio di secondo grado non concorda e boccia il ricorso. L’articolo, puntualizza, si era tradotto in un legittimo esercizio del diritto di critica, avendo gli autori rispettato i tre requisiti fondamentali: verità dei fatti esposti, continenza e interesse pubblico. Intanto, rilevano, va tenuto presente che «nella critica, a differenza della cronaca, non si riportano i fatti rilevanti, ma li si commenta, positivamente o negativamente, con taglio differente rispetto al loro protagonista, presupponendone la notorietà». Del resto, in caso di contemporaneo esercizio del diritto di cronaca e di critica, la giurisprudenza è chiara nel sostenere che occorre riferirsi all’interpretazione soggettiva dei fatti esposti, posto che la critica mira non a informare, ma a fornire giudizi e valutazioni personali (Sentenza 9746/00). La critica, pertanto, non potrà ritenersi diffamatoria per il solo fatto di essere astrattamente idonea a offendere la reputazione di un soggetto, se, bilanciato il diritto alla reputazione con quello alla libera manifestazione del pensiero, detta critica risulterà comunque pertinente, ossia d’interesse pubblico. Pertinenza rinvenibile nel caso di specie, considerato che gli articoli miravano a diffondere iniziative politiche e legislative di personaggi di spicco. Nulla d’illegittimo, allora, non ravvisandosi a carico dei giornalisti alcuna forma di sanzionabile «aggressione gratuita distruttiva dell'onore o della reputazione del soggetto interessato» (Sentenza 12420/08). Della continenza verbale poi, prosegue la Corte romana, non può esigersi una valutazione formale, legata all'uso «di toni pacati e di vocaboli compiti» (Sentenza 25/09), essendo la critica, inclusa quella politica, caratterizzata di per sé da fervore polemico e dall’uso di toni forti e di un linguaggio «colorito e pungente» (Sentenza 17172/07). Ciò, purché – come ribadito da Cassazione 4325/10 – non vi si legga un attacco personale diretto a mettere in luce l'indegnità della persona nota. Si motiva così, riscontrato un corretto esercizio del diritto di critica politica, il rigetto dell’appello proposto dal senatore.