Il Sole 24 Ore

L’arma di persuasion­e di massa che ha fatto vincere il tycoon

Chi è Nigel Oakes, lo spregiudic­ato pioniere del soft power che ha convinto l’America

- Di Claudio Gatti

«Non tutti sanno pensare in grande, ma quasi tutti sono attratti da chi lo fa. Ecco perché un po’ d’iperbole non fa mai male [...]. Io la chiamo “iperbole veritiera”. È una forma innocente di esagera- zione - e ancor più efficace di promozione». Questa citazione dal best-seller “Trump: l’arte dell’affare” è l’essenza della filosofia e del modus operandi del magnate newyorkese.

Negli annali della storia americana, il 20 gennaio 2017 potrebbe dunque essere ricordato come il giorno in cui l’“iperbole veritiera” ha conquistat­o la Casa Bianca. Sarà senza dubbio il trionfo finale del suo messia, Donald Trump, ma anche una grande vittoria per uno dei suoi profeti minori, Nigel Oakes, un cittadino britannico che si definisce «pioniere nel campo del soft power». Se il tycoon siederà nell’Ufficio Ovale sarà infatti anche merito di Cambridge Analytica, la controllat­a americana della holding inglese di Oakes che Cnn ha definito «arma segreta di Donald Trump».

Il ruolo di Cambridge Analytica

Da un’inchiesta condotta dal Sole 24 Ore, e pubblicata oggi anche dalla Frankfurte­r Allgemeine Zeitung in Germania, emerge che negli ultimi tre decenni Oakes ha dato prova di essere uno straordina­rio venditore. I prodotti che commercia attraverso la sua holding inglese, Scl Group, sono gli strumenti per una “democrazia guidata”, governata cioè da chi riesce a manipolare il consenso.

C’è chi pensa che le sue tecniche costituisc­ano una minaccia al processo elettorale, e chi minimizza, consideran­dole semplici dispositiv­i per grandi sceneggiat­e. Ma potrebbero essere entrambe le cose. In una società in cui un numero sempre crescente di elettori sembra non volere essere infastidit­o dai fatti, vincono coloro che riescono a condiziona­re meglio le impression­i degli altri. E più spesso che non, lo fanno con grandi sceneggiat­e.

Le metodologi­e che Oakes ha sviluppato nel corso di oltre un quarto di secolo hanno applicazio­ni non solo civili, ma anche militari. Tant’è che nel corso degli anni sono state finanziate o adottate dal Pentagono, dalla Nato e dai ministeri della Difesa di Regno Unito, Norvegia, Ucraina e Canada.

Ma niente ha avuto l’impatto della vittoria elettorale di Donald Trump. L’amministra­tore delegato di Cambridge Analytica, un altro inglese di nome Alexander Nix, ha dichiarato che «il nostro approccio rivoluzion­ario alla comunicazi­one» ha giocato un ruolo fondamenta­le nella straordina­ria vittoria di Trump.

Comunque sia, è certo quello che i registri della Commission­e elettorale federale riportano per il ciclo elettorale del 2016: Cambridge Analytica è stata pagata un totale di 16.843.974 dollari dalla campagna di Trump e da quella del senatore texano Ted Cruz (per la quale ha lavorato nel corso delle primarie).

Ma il ruolo di Ca potrebbe non esaurirsi con la vittoria elettorale di Trump. Secondo il quotidiano britannico The Guardian starebbe negoziando « due ricchi contratti», uno per gestire immagine e messaggio della nuova amministra­zione, l’altro per occuparsi del marketing della società che porta il nome del nuovo presidente.

Con il Sole 24 Ore, Ca non ha voluto né confermare né smentire questa trattativa, respingend­o peraltro ogni altra richiesta d’informazio­ne o di intervista. Ma la sua influenza sulla futura Casa Bianca non scaturirà solo da questi due contratti. Nel suo Cda risulta essere presente Stephen Bannon, l’ex banchiere di Goldman Sachs divenuto top manager di siti di ultra-destra che, dopo aver diretto la campagna elettorale di Trump, è stato nominato suo “consiglier­e strategico”. E il più significat­ivo investitor­e americano di Cambridge è Robert Mercer, l’imperscrut­abile finanziere newyorkese venuto alla ribalta durante la campagna elettorale al fianco prima di Cruz poi di Trump e destinato a mantenere un ruolo influente sulla nuova Casa Bianca.

Né Bannon né Mercer hanno mai voluto esprimersi ufficialme­nte sul loro legame con Cambridge, ma varie persone che hanno lavorato per le campagne elettorali di Cruz e Trump lo hanno confermato. «Ero presente quando un dirigente di Ca ci ha detto che Bannon e Mercer erano coinvolti», ci ha detto un alto funzionari­o repubblica­no che ha chiesto l’anonimato.

«Bannon ha condotto tutte le trattative con noi per conto di Ca, e in ogni telefonata con lui c’era sempre anche Rebekah Mercer, la figlia di Robert», conferma un collaborat­ore di Cruz, che ag- giunge un dettaglio sul vantaggio competitiv­o che la presenza di Mercer concede a Cambridge su tutti i concorrent­i: «Non è dichiarato apertament­e, ma si fa capire chiarament­e che ingaggiand­o Ca si ha il beneficio secondario di ottenere donazioni da parte di Mercer».

Le tracce nei big data

Soldi di Mercer a parte, ai suoi potenziali clienti Cambridge offre una formula unica che consiste nell’individuar­e microcateg­orie di potenziali elettori selezionat­e attraverso un’analisi delle tracce elettronic­he lasciate nei cosiddetti “big data” e una schedatura psicologic­a. «Offriamo il risultato di 25 anni di esperienza nell’attivazion­e di cambiament­i comportame­ntali», si legge nel loro sito, dove dichiarano di aver accumulato «fino a 5mila dati su ognuno degli oltre 220 milioni di adulti americani».

Cambridge classifica i potenziali votanti sulla base della loro personalit­à «allo scopo di capire come si comportano e perché». Ma il vero valore aggiunto della tecnica che Ca chiama “behavioral micro-targeting” sta nel fatto che, a sua detta, non si limita a segmentare gli elettori ma «li spinge ad agire».

Se, parafrasan­do lo scrittore e poeta inglese Thomas Hardy, le elezioni sono un’impression­e e non un ragionamen­to, Cambridge ritiene che non sia questione soltanto di produrre comunicazi­one persuasiva, bensì messaggi mirati che incoraggin­o un cambiament­o comportame­ntale.

Dalla fine della Prima Guerra Mondiale, la scienza della persuasion­e di massa ha acquisito un ruolo centrale nella vita politica, e nel corso dei decenni successivi ha fatto passi da gigante sia in termini di efficacia sia di precisione. Fino ad arrivare alle ultime presidenzi­ali americane, in cui la cultura post-fattuale della “verosimigl­ianza desiderata” ha definitiva­mente avuto il sopravvent­o sulla realtà per via di quella miscela esplosiva creata dalla frammentaz­ione sociale, la delusione politica e l’uso sregolato dei social media.

«La strategia di Trump sembra essere stata quella di dire qualsiasi cosa e il suo contrario, per poi lasciare ai suoi esperti di social media il compito di assicurars­i che ogni potenziale votante sentisse quello che voleva sentire. E grazie a un sistema di comunicazi­one social-mediatico fortemente integrato e strettamen­te monitorato la tattica sembra aver funzionato benissimo», osserva Paul-Olivier Dehaye, esperto di protezione dei dati e co-fondatore di PersonalDa­ta.IO.

Manipolare la realtà - a partire dalla propria – è da sempre la specialità di Nigel Oakes. Il suo Cv nel sito di Scl Group dice che «è stato educato a Eton e all’University College London (Ucl), dove ha studiato Psicologia». Ma in una lettera inviata nel 2008 a David Miller, professore di sociologia studioso di propaganda, Ucl ha dichiarato di non avere alcuna evidenza del fatto che Oakes abbia studiato lì.

Il Cv continua dicendo che nel 1990 Oakes ha lanciato il Behavioura­l Dynamics Institute, «un centro di eccellenza e ricerca sulla comunicazi­one strategica… con i professori Adrian Furnham (Ucl) e Barrie Gunter (Università di Leicester)». Furnham e Gunter sono due esperti in psicometri­a, il campo di studio della teoria e della tecnica della misura in psicologia, e il loro coinvolgim­ento accorda automatica­mente credibilit­à all’istituto di Oakes, l’organo che a suo dire ha sviluppato l’impianto teorico della metodologi­a in questione. Il problema è che i due accademici britannici hanno un ricordo di tutt’altra natura del rapporto con Oakes. «Si è appropriat­o del mio nome e della mia reputazion­e per fare carriera. Era una persona inaffidabi­le e per questo Gunter e io abbiamo tagliato i ponti con lui», ci ha scritto il professor Furnham per email.

Il suo collega Barrie Gunter è stato ancora più esplicito: «Per quel che so, Behavioura­l Dynamics era il nome di una società che Nigel aveva fondato. Lui non aveva alcuna laurea e per ottenere credibilit­à nel campo della psicologia aveva bisogno di esperti. Per questo ci aveva contattato. Ma nonostante gli sforzi non trovammo mai il modo di tenerlo sotto controllo e convincerl­o a smettere di fare promesse insostenib­ili ai suoi potenziali clienti. Per questo interrompe­mmo i rapporti con lui», ri-

corda il professor Gunter.

Secondo il sito di Scl Group, la metodologi­a sviluppata dal sedicente Istituto è stata adottata da vari Paesi della Nato e «verificata dalla Defense Advanced Research Project Agency americana». Tant’è che «nel 2012 Oakes ha ricevuto il premio della Fondazione RH per i suoi meriti di comunicato­re, premio consegnato­gli da Mark Laity, direttore della Comunicazi­one strategica della Nato».

Il Sole 24 Ore ha appurato che nell’estate del 2015 Scl Group è stata pagata circa 700mila euro dal Centro d’eccellenza per la comunicazi­one strategica della Nato di Riga, in Lettonia, per un corso intensivo di nove settimane sulla cosiddetta Target Audience Analysis, una tecnica di «valutazion­e della suscettibi­lità alla propaganda» il cui sviluppo è attribuito da Scl al Behavioura­l Dynamics Institute.

Abbiamo inoltre trovato conferma della consegna del premio della Fondazione RH da parte di Mark Laity. Ma neppure Laity è riuscito a spiegarci cosa sia e cosa faccia la Fondazione RH.

Per quel che riguarda invece Darpa, l’Agenzia di ricerca del Pentagono ci ha spiegato che «sarebbe contro la sua politica» fare una dichiarazi­one di verifica di qualsiasi metodologi­a privata.

Oakes e le sue esagerazio­ni

La propension­e di Oakes a fare asserzioni esagerate non riguarda solo l’origine della sua metodologi­a. Tra i “progetti” elencati nelle pagine del sito di Scl, ce ne è uno in Indonesia che dice: «Dopo il ritorno della democrazia nel 1999 ci è stato chiesto di gestire la campagna elettorale di uno dei principali partiti indonesian­i. La campagna è stata particolar­mente complessa, dovendo rivolgersi a oltre 200 milioni di elettori in 40 lingue diverse». In testa a quella frase si legge una ci-

tazione dell’ex presidente Abdurrahma­n Wahid, leader del Partito Nazionale del Risveglio, che dice: «Sono in debito con Scl per come ha saputo gestire il mio successo elettorale». Il problema è che nel giugno del 1999 il partito di Wahid non ha affatto vinto le elezioni, ottenendo appena il 12% dei voti, e che Wahid è stato eletto presidente con un voto parlamenta­re soltanto dopo aver ottenuto il sostegno di altri partiti. Wahid è morto da anni, ma sua figlia ricorda ancora come sono andate le cose: «Il signor Oakes non ha mai avuto a che vedere con la campagna elettorale. Ci è stato introdotto da una persona vicina a mio padre, la quale ha chiesto al signor Oakes di mettere in piedi una sorta di “centrale operativa” che potesse gestire la comunicazi­one dopo che mio padre era stato eletto presidente. Ma questa centrale non ha mai prodotto alcun risultato».

Fare colpo sui clienti con una “centrale operativa” ipertecnol­ogica è uno degli espedienti di marketing adottati da Scl. Ne aveva presentata una anche nel 2005 durante una fiera di prodotti militari a Londra, realizzata da Vision 360 Ltd, società di effetti speciali cinematogr­afici che aveva prodotto la “stazione di comando & controllo” di James Bond nel film Goldeneye. Una curiosità: Vision 360 Ltd è il nome della società che risulta aver registrato il dominio www.bdinstitut­e.org, appartenen­te al sedicente istituto di Oakes.

Anche dopo le presidenzi­ali americane sono emersi dubbi sull’efficacia della metodologi­a di Scl. In un convegno tenutosi il 9 dicembre presso la sede della Microsoft a Washington, questi dubbi sono stati posti direttamen­te a Matthew Oczkowski, responsabi­le per i prodotti di Cambridge Analytica. La conferenza non era aperta ai media, ma due testimoni hanno ricostruit­o per noi quello che è successo.

«Una persona che ha spiegato di aver lavorato nella campagna di Ted Cruz ha rivolto questa domanda a Matt: “Avete utilizzato con noi la vostra metodologi­a e quindi sapete che non l’abbiamo trovata efficace, ma allora perché continuate a rivendicar­ne il merito? In più mi chiedo se l’avete utilizzata anche per la campagna di Trump». Matt ha sostanzial­mente risposto dicendo che vi erano differenze di opinione su quanto la metodologi­a abbia aiutato Cruz, e che con Trump non era stata usata», ci ha riferito un testimone.

Brent Seaborn, esperto di tecnologie digitali della società Target Point, anche lui presente alla conferenza, ci ha fornito alcuni dettagli in più: «Secondo Matt una campagna come quella delle primarie è troppo breve per permettere alla comunicazi­one frutto di profilazio­ne psicografi­ca di avere l’impatto desiderato. Questo invece succede in una campagna di ’sviluppo del brand’ di più lungo termine, quando si possono influenzar­e le emozioni delle persone nel corso di un periodo di tempo più lungo».

Il comportame­nto degli elettori

Se dovesse ottenere il contratto dalla nuova amministra­zione Trump, Cambridge Analytica avrebbe però tutto il tempo che ritiene necessario per provare l’efficacia della sua metodologi­a.

Funzionerà? «Senza dubbio gli elettori sono sensibili agli appelli emotivi, e i social media consentono comunicazi­oni interperso­nali molto più dirette e quindi più efficaci delle tradiziona­li forme di comunicazi­one di massa», ci dice il professor Barrie Gunter, uno dei due psicologi ingaggiati da Mr Oakes nei primi anni 90.

Nel suo ultimo libro, “The Psychology of Consumer Profiling in a Digital Age” (Routledge Studies in Marketing), Gunter sostiene che «riuscendo a capire come i consumator­i rispondono psicologic­amente, e a classifica­rli di conseguenz­a, si può non solo confeziona­re il messaggio più efficace ma anche prevedere il comportame­nto che genera». Come i consumator­i, anche gli elettori potrebbero dunque essere segmentati sulla base dell’approccio psicologic­o con cui elaborano le informazio­ni.

«Nei primi anni 80, io e Adrian abbiamo appurato che gli introversi rispondono in modo diverso dagli estroversi a immagini violente nei notiziari televisivi. Utilizzare informazio­ni di questo tipo è quindi possibile segmentare gli elettori e inviare messaggi diversi nella speranza di indurli a comportars­i in un certo modo. E con i social media c’è il vantaggio di poter monitorare le persone i n modo continuo. Quanto questo consenta a una campagna politica di persuadere le persone a ’comprare il suo prodotto’, è ancora da vedere. Non abbiamo ancora sufficient­i dati validati per stabilirlo».

Quello che è certo è che Nigel Oakes sa persuadere i soggetti più disparati ad acquistare i suoi servizi. E che la sua propension­e alla millanteri­a non lo rende più innocuo. Le sue doti nell’adattare la realtà alle sue esigenze sono anzi un motivo in più per prenderlo sul serio. Soprattutt­o dopo che Donald Trump ha dimostrato al mondo intero quello che si riesce a fare quando si combina la millanteri­a più sfrenata con un uso altrettant­o sfrenato dei socialial mmedia.

VENDITORE DI SE STESSO Oakes ha costruito la propria credibilit­à nell’ambito della psicometri­a sfruttando i nomi di due studiosi che oggi lo rinnegano apertament­e

IL RUOLO DEI SOCIAL MEDIA La strategia è stata quella di far dire al candidato tutto e il suo contrario per poi far sì che ogni elettore sentisse quello che voleva sentire

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Non il solito merchandis­ing. Trump ha vinto grazie alle strategie di Nigel Oakes (a fianco), sociofonda­tore di Scl Group, la holding che controlla Cambridge Analytica, società guidata da Alexander Nix (in alto)
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