Se Berlino (stavolta) dà voce all’Europa
«Non si può avviare un negoziato con le minacce». Così il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, ha risposto al premier britannico Theresa May sulle condizioni poste da Londra per le trattative di Brexit con l’Unione europea. Entrambi si sono esibiti sul palcoscenico internazionale di Davos, entrando in polemica diretta ed è, una volta tanto, probabile che Schäuble abbia espresso un sentire comune di molti leader europei.
Il problema è che come per Donald Trump, il futuro di Theresa May è pieno di nostalgia. Da ministro degli Interni dello sciagurato governo Cameron difendeva (tiepidamente) le ragioni del “Remain”, sostenendo gli incomparabili vantaggi competitivi della grandezza economica britannica all’interno dell’Unione europea, potenza disomogenea ma indiscutibile forza commerciale capace di negoziare alla pari con Stati Uniti e Cina.
Con maggior disinvoltura, leggerezza e memoria cortissima difende oggi le ragioni di Brexit grazie ad argomentazioni opposte: un grande e prospero futuro ci attende fuori dall’Unione, ha detto ieri a Davos davanti a una platea poco entusiasta e disposta solo a un applauso di circostanza. Ancora meno entusiasta, a distanza più o meno ravvicinata dal premier britannico, era l’altro ospite eccellente, appunto Schäuble.
Sempre poco diplomatico, il ministro tedesco ha riportato la premier britannica con i piedi per terra ricordandole che stavolta la posizione di forza nelle trattative, per quanto paradossale possa apparire, è quella dell’Unione europea. E che minacce come quelle proferite nel discorso di martedì (tasse ridottissime fino a diventare un paradiso fiscale con gli steroidi; negoziati commerciali di libero scambio one-to-one con le maggiori economie a cominciare dagli Stati Uniti) sono un pessimo inizio per chi si appresta a trattare da solo contro (quasi) tutti.
A Londra non conviene nemmeno cercare di dividere più di tanto i Ventisette perché i tempi del negoziato si allungherebbero a dismisura e certo non è Bruxelles, stavolta, ad avere fretta. «Potenza globale», «leader del commercio mondiale», «grandezza». Non sono mancate alla signora May, a Lancaster House come a Davos, prosopopea e senso nostalgico della storia, discorsi che rimandano a quell’apogeo del mercantilismo e del colonialismo che fu l’epoca vittoriana. «Make Britain Great Again» è il senso del suo messaggio, simile a quello di Trump: fuori dal multilateralismo e da una realtà economica che la vede ricca di finanza e povera di manifattura,in molti casi,come nell’automotive, sotto il completo controllo di gruppi esteri.