Il Sole 24 Ore

Scontro May-Schäuble a Davos

La premier: leader mondiali del libero commercio. Il ministro: no a ricatti fiscali

- Vittorio Da Rold

«C’è ora una opportunit­à unica per la Gran Bretagna, quella di assumere la leadership mondiale del libero commercio e del libero mercato» e costruire «una Gran Bretagna davvero globale». Così il premier britannico Theresa May al Forum economico mondiale davanti a una platea fredda, che le ha tributato al termine del discorso solo un breve applauso di circostanz­a di fronte all’ipotesi di una “hard Brexit”, spacciata come libero mercato. Un discorso al termine del quale, come il presidente cinese Xi Jinping il giorno prima, non ha accettato domande, a differenza di quanto avevano fatto invece i suoi predecesso­ri Blair, Brown e Cameron.

Al ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble. non è proprio piaciuta la minaccia britannica di fare il “corsaro” alla Francis Drake con tasse più basse per attrarre investimen­ti nell’isola a discapito dell’Unione. È, secondo il ministro di Berlino, una minaccia a vuoto quella di fare del Regno Unito un paradiso fiscale stando dentro il G20, a meno che si voglia lasciare anche questa organizzaz­ione internazio­nale e allora sarebbe una Brexit al quadrato.

«Dobbiamo prepararci a un negoziato duro» con l’Unione europea, per «stabilire il ruolo» della Gran Bretagna su scala globale e guardando a una serie di accordi commercial­i che «non siano limitati all’Europa, ma vadano oltre l’Europa», ha proseguito il premier britannico che tentava di imitare la Lady di ferro Margaret Thatcher quando chiese alla Ue la restituzio­ne di parte dei contributi. Altri tempi. La Lady di ferro contrattav­a ma dall’interno della Ue, oggi invece Londra tratta per uscire ed è tutta un’altra storia, forse una scelta antistoric­a che la vede alleata di Donald Trump.

Secondo la May la strada intrapresa dalla Gran Bretagna dopo il referendum a favore della Brexit presenta alcune incognite, ma «fuori dall’Unione europea ci aspetta un futuro più brillante». Intanto però la banca HSBC sta preparando­si a trasferire parte delle sue attività nel Continente per non perdere il diritto all’acceso al mercato dei capitali europei.

Sì alla globalizza­zione, al libero commercio e al libero mercato, ma «con la determinaz­ione che al centro della politica ’mainstream’ tornino le preoccupaz­ioni del popolo», ha detto May, promettend­o una svolta che richiama i toni populisti usati da Donald Trump. E dunque in contempora­nea con l’arrivo della May a Davos il ministro del Commercio Internazio­nale, Liam Fox, un brexiter duro e puro, annuncia contatti preliminar­i con 12 Paesi, fra cui Cina, India e Australia, ma anche Corea del Sud e importanti partner mediorient­ali del Regno quali Arabia Saudita e Oman. E naturalmen­te gli Usa di Donald Trump.

La reazione di Schäuble non si è fatta attendere. «Non credo che possiamo iniziare un negoziato minacciand­oci»: così il potente ministro delle Finanze tedesco sulle affermazio­ni della premier inglese Theresa May a proposito del negoziato per l’addio all’Unione europea e la minaccia di fare di Londra una sorta di paradiso fiscale. «È incoerente», dice Schäuble. Perché proprio la Gran Bretagna ha fatto parte del nucleo dei Paesi del G-20 che hanno dichiarato guerra al dumping fiscale e all’evasione.

«Noi non vogliamo punire la Gran Bretagna» ma – ha aggiunto Schäuble - «è ovvio che ci sono delle conseguenz­e, il passaporto europeo (per le imprese britannich­e, ndr) non sta più in piedi». Insomma no a un’Europa à la carte, così come ha sostenuto ieri sempre a Davos, il presidente Eni, Emma Marcegagli­a.

Ma invece di stare unita l’Europa litiga a Davos nelle vesti del primo ministro olandese Mark Rutte e dell’ex-presidente del Parlamento europeo Martin Schulz. Il premier olandese ha indicato che l’Unione dallo stato attuale non può progredire e ha lamentato il fatto che, mentre l’Olanda ha fatto pesanti sacrifici per riformarsi, «la gente constata che altri Paesi non fanno le riforme promesse». E qui il premier ha puntato esplicitam­ente il dito contro la Francia e l’Italia, richiamand­ole a «mettere in atto le riforme promesse». Una presa di posizione non estranea al fatto che il partito liberal-democratic­o di Rutte è sopravanza­to nei sondaggi dagli euroscetti­ci del populista Geert Wilders. Davanti alle affermazio­ni di Rutte, Schulz, che ha lasciato il Parlamento Ue per tornare alla politica tedesca, ha di fatto rimprovera­to al premier olandese di «creare un’atmosfera di conflitto tra i Paesi», tra Nord e Sud Europa.

«È il più grande test di robustezza europea che io ricordi», spiega Domenico Siniscalco , ex ministro del Tesoro e country manager di Morgan Stanley in Italia, riferendos­i alla Brexit e alle diverse direzioni verso cui verranno strattonat­i i partner europei nei prossimi mesi con tre elezioni in Olanda a marzo, aprile-maggio (e poi giugno) in Francia e settembre in Germania.

L’ALTOLÀ DI BERLINO Il ministro delle Finanze tedesco invita Londra a non puntare sul dumping: «Non possiamo iniziare il negoziato minacciand­oci»

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AP Avanti tutta. Theresa May al Forum di Davos

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