Legge elettorale, le convenienze dei partiti
Renzi chiude: Mattarellum o si applica la sentenza della Consulta - M5S: al voto col sistema dei giudici
Ad una settimana dalla sentenza della Corte costituzionale sull’Italicum i partiti serrano i ranghi. E le posizioni, come è normale nelle ore precedenti una decisione che segnerà il destino della legislatura e del sistema politico italiano, si irrigidiscono: Silvio Berlusconi insiste, almeno ufficialmente, sul proporzionale con sbarramento alla tedesca; Matteo Renzi insiste sul Mattarellum, unica posizione che tiene unito tutto il Pd comprendendo financo Massimo D’Alema; il Movimento 5 stelle è indisponibile ad ogni trattativa e con Danilo Toninelli si è espresso per andare subito al voto con il sistema che uscirà dalla Consulta.
Le indiscrezioni sulla decisione che prenderanno i giudici costituzionali, indiscrezioni riportate in ambienti parlamentari, danno il quadro di un intervento non troppo invasivo che lascerebbe sulla carta la possibilità ai partiti di accordarsi in Parlamento per “aggiustare” la legge elettorale con l’obiettivo di renderla più omogenea tra i due rami del Parlamento: va infatti ricordato che l’Italicum su cui si esprimerà la Consulta riguarda solo la Camera, mentre per il sopravvissuto Senato è in vigore il cosiddetto Consultellum, ossia il sistema lasciato in piedi tre anni fa sempre dalla Consulta con la sentenza che bocciò il Porcellum. L’ipotesi più accreditata è che venga eliminato il ballottaggio nazionale tra le prime due liste se nessuna supera il 40% dei voti previsto dall’Italicum, mentre dovrebbe restare il sistema del premio di maggioranza fino a 340 seggi (circa 55%) per la lista che superi il 40% dei voti. In questo modo sarebbe mantenuta la base proporzionale ma anche la possibilità del premio, permettendo così ai partiti più grandi di giocarsi la campagna elettorale con l’obiettivo pur sempre credibile di raggiungere il 40%. Per il Senato resta invece, salvo interventi legislativi, l’attuale sistema proporzionale attenuato da un sistema di soglie distinto tra i partiti che scelgono di coalizzarsi (3%) e partiti che invece scelgono di correre da soli (8%). Un quadro disomogeneo - dal momento che alla Camera resterebbe la possibilità del premio da attribuire alla lista e non alla coalizione mentre al Senato non è previsto alcun premio e invece è prevista la possibilità per i partiti di coalizzarsi - ma comunque con comune base proporzionale. Per il resto, i giudici costituzionali dovrebbero intervenire sulle pluricandidature ma senza cancellarle, bensì togliendo l’opzione dell’eletto. «Le pluricandidature di per sé non sono incostituzionali - spiega il costituzionalista del Pd Stefano Ceccanti -. Ma l’Italicum prevede che nel caso in cui il candidato risulti eletto in più collegi sta a lui decidere per quale optare, mentre servirebbe un criterio automatico come ad esempio quello per cui il plurieletto passa dove ha ottenuto più voti in percentuale».
Se la decisione della Consulta dovesse andare nella direzione descritta, è chiaro che a Renzi e al suo Pd converrebbe estendere il sistema della Camera anche al Senato in modo da mantenere la possibilità di una maggioranza certa il giorno stesso delle elezioni. Ma per estendere quel che resterà dell’Italicum anche al Senato sarà necessaria una legge da approvare in entrambe le Camere, con tutti i rischi di una trat- tativa sui dettagli con Forza Italia (dal momento che i Cinque Stelle hanno chiarito che non tratteranno con nessuno), il cui vero obiettivo è quello di scavallare giugno ed arrivare al termine naturale della legislatura nel febbraio 2018. E resta comunque il fatto che Berlusconi continua ad essere affascinato dal modello tedesco, un proporzionale con soglia di sbarramento, per cui al limite Fi appoggerebbe più volentieri l’intervento contrario, ossia estendere il Consultellum del Senato alla Camera. O in alternativa, vista l’allergia dell’ex Cavaliere sia alle preferenze sia ai collegi uninominali, Fi appoggerebbe un sistema alla spagnola: piccoli collegi con soglia di sbarramento implicita e listini bloccati. Che poi è, sulla carta, il sistema fatto proprio dal M5S.
Allungare la legislatura oltre giugno, come vuole Fi, è d’altra parte esattamente quello che non vuole Renzi. E non solo Renzi: ieri in Senato ci sono state riunioni informali sul tema sia tra i renziani sia tra i “giovani turchi” che fanno riferimento ad Andrea Orlando e da entrambe le riunioni è uscita l’indicazione del voto a giugno. Troppo alto il rischio per il Pd, come ha più volte ribadito pubblicamente Renzi, di trascinare la legislatura con il M5S e la Lega che gridano da fuori contro il Palazzo che vuole tirare a campare intascando il vitalizio che scatterà solo a fine settembre. E troppo alto è anche il rischio di mettere a punto in autunno una manovra economica che si annuncia pesante.
E allora che fare? Se come pare ormai chiaro non sarà possibile tornare al Mattarellum, dal momento che lo vuole solo il Pd, per Renzi non resta che attendere la Consulta per recepirne la sentenza in modo da poter tornare al voto il prima possibile. A giugno, appunto. Basterebbe un decreto: una scelta politicamente percorribile anche perché non troverebbe ostacoli da parte del M5S. E la base proporzionale dei due sistemi non dovrebbe dispiacere troppo neanche a Berlusconi (che alla Camera si ritroverebbe tra l’altro i capilista bloccati da lui voluti a suo tempo) e quella parte del Pd che punta alla grande coalizione nella prossima legislatura. Il problema vero resta la data delle elezioni: saranno davvero a giugno come vuole Renzi?
BERLUSCONI L’ex premier punta su un proporzionale con sbarramento Al massimo appoggerebbe l’estensione del Consultellum del Senato alla Camera