Il Sole 24 Ore

Una leadership che fatica a unire un Paese ancora sotto shock

- Di Marco Valsania

Èstato picchiato a sangue da un’America segregata. Ha marciato, a Selma e nella storia, con Martin Luther King. Eletto deputato, ha portato per decenni l’impegno sui diritti civili in Congresso, decano della politica americana. Molti, senza piaggeria, chiamano John Lewis un eroe americano. Ma non Donald Trump: mentre metteva i ritocchi finali sulla sua inaugurazi­one come presidente degli Stati Uniti, ha trovato tempo e modo di usare altri aggettivi. Ha attaccato Lewis come «all talk, talk, talk and no action. Sad». Un uomo triste, tutto retorica e niente risultati, perché aveva deciso che oggi non avrebbe partecipat­o al suo giuramento giudicando­lo «illegittim­o».

L’affronto, in questi giorni è rimbalzato ovunque, cruda testimonia­nza delle divisioni che divorano il Paese a tre mesi dalla vittoria nelle urne di Trump. E che vedranno fino a sabato convergere su Washington centinaia di migliaia di dimostrant­i. Una contro-cerimonia, una «inaugurazi­one della resistenza», recita uno degli slogan degli organizzat­ori. La polemica ha anche moltiplica­to le diserzioni ufficiali: sono ben una sessantina i deputati degli Stati più diversi, da New York alla California, dalla Pennsylvan­ia al Texas, che non saranno presenti.

Per Lewis è la seconda inaugurazi­one mancata: la precedente era stata quella di George W. Bush nel 2001, in protesta contro la decisone della Corte Suprema di dichiararl­o vincitore contro Al Gore. Ma Bush non aveva reagito a insulti. E proprio la dinastia repubblica­na dei Bush tradisce ambivalenz­a e disagio tra gli stessi repubblica­ni. George W. è alla cerimonia con la ex First Lady Laura. Ma, oltre al padre George Herbert in cattive condizioni di salute, non c’è il fratello Jeb, ex avversario di Trump nelle primarie.

Le diserzioni hanno contagiato da tempo il mondo della cultura e dello spettacolo, che in Barack e Michelle Obama aveva trovato campioni. A cantare l’inno nazionale, unica eccezione, la sedicenne Jackie Evancho, popolare ex vincitrice di concorsi canori. Neppure sua sorella, che è transgende­r, verrà. E ci saranno alcune ballerine delle Rockettes di New York, ma solo quelle che non hanno rifiutato.

Soprattutt­o Trump è arrivato all’inaugurazi­one con una nazione tuttora sotto shock e incapace di unirsi sotto la sua leadership, accusata dai critici semmai di fomentare le divisioni. Diserzioni formali e proteste non sono inedite: il primo boicottagg­io degno di nota avvenne nel 1829 ad opera del Presidente John Quincy Adams, che snobbò l’odiato successore, il populista Andrew Jackson. Nel 1913 l’inaugurazi­one di Woodrow Wilson fu scossa dalla marcia delle Suffragett­e per il voto alle donne. Nel 1969 e più ancora nel 1973, con centomila dimostrant­i in strada, toccò al movimento contro la guerra del Vietnam incalzare Richard Nixon. E nel 2001, con Lewis, almeno in 20mila protestaro­no l’insediamen­to di George W. Bush. Ma la protesta non aveva mai raggiunto, di recente, queste dimensioni e le polemiche una simile escalation.

I sondaggi ne danno conto: se la maggioranz­a degli americani è ottimista sull’agenda economica, solo il 40% ha un’opinione favorevole di lui o della sua transizion­e stando a Washington Post-Abc. Per il predecesso­re Barack Obama nel 2009 quella percentual­e sfiorava l’80 per cento. Interviste condotte dai media in regioni proTrump hanno a loro volta mostrato, accanto al sostegno, la richiesta che rispetti rapidament­e le promesse.

La varietà delle dimostrazi­oni è l’altro volto, più evidente, del dissenso e del diffuso nervosismo: sono in arrivo, stando alle autorità, almeno 350mila persone per sit-in, cortei, comizi e gesti di protesta silenziosa. «Un record», hanno fatto sapere le authority locali che hanno distribuit­o i permessi. La marcia di maggior impatto sarà domani quella delle donne, dove sono attese almeno 200mila persone senza contare 600 azioni simili a livello locale. E già ieri un primo assaggio è arrivato con una manifestaz­ione sotto la Trump Tower a New York e da simili iniziative in altre città, compresa la giornata di azione nazionale promossa da gruppi di insegnanti e sindacati della scuola.

A Washington per oggi è programmat­o un evento sulla Pennsylvan­ia Avenue, al Navy Memorial, dalla Answer Coalition, alleanza di associazio­ni contro le guerre e il razzismo. Al Malcolm X Park si ritrova il nuovo movimento dei diritti civili Black Lives Matter, nato degli abusi delle forze di sicurezza ai danni degli afroameric­ani, assieme ad altre organizzaz­ioni e al partito dei Verdi. Una coalizione battezzata DisruptJ20 ha in cantiere momenti di disobbedie­nza civile nella capitale durante l’intera giornata. E oltre 20mila adesioni sono giunte da studenti universita­ri per una protesta silenziosa davanti al Congresso. Lo slogan è significat­ivo: «Not my President». Trump non è il mio Presidente.

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