Wall Street non si «scalda» con Trump
Il discorso non offre novità sulla politica economica: dollaro stabile, Treasury poco mossi, Borsa tiepida
Dalle elezioni presidenziali Usa di inizio novembre Wall Street ha guadagnato l’8,5% e le Borse europee il 12%. Ma se dal discorso di insediamento alla Casa Bianca tenuto ieri dal 45esimo presidente degli Usa gli investitori si aspettavano di capire se hanno fatto bene a puntare delle fiches su Donald Trump, saranno rimasti delusi.
Perché questi non ha detto granché di nuovo e di profondo, al di là di frasi ad effetto e nuovi mantra come “America first” o “America great again”. Per conoscere maggiori dettagli sulle politiche fiscali espansive promesse in campagna elettorale, o sui dettagli protezionistici della sua azione, bisognerà quindi attendere. Nel frattempo i mercati hanno reagito con un atteggiamento guardingo. Il dollaro non si è mosso - nonostante i vari algoritmi semantici posizionati dai trader - nel bel mezzo del discorso di Trump, arrivato quando le Borse europee erano già chiuse, al termine di una seduta e di una settimana piuttosto piatta. Ieri l’Eurostoxx 50 ha guadagnato lo 0,3% ma la settimana si archivia con un -0,7%. Pressoché invariata, tanto nel dato di venerdì quanto nel conteggio settimanale, Piazza Affari.
Wall Street si è spinta in un timido rialzo ma va detto che già viaggia su multipli piuttosto elevati (17,5 volte gli utili attesi per quest’anno). Per cui è evidente che gli investitori vogliano a questo punto vedere se Trump passerà dalle parole ai fatti prima di, eventualmente, tornare convintamente a puntare su un listino le cui quotazioni non viaggiano certo a prezzi scontati.
Reazione fredda anche dai Treasury con il rendimento del decennale Usa in rialzo di un punticino base, al 2,48%. Va detto però che nelle ultime cinque sedute il rendimento del governativo Usa è risalito di 10 punti base. L’ultima settimana, per i bond governativi globali, è stata caratterizzata dalle vendite che, di conseguenza, hanno spinto al rialzi i rendimenti (che si muo- vono in direzione opposta ai prezzi). Il Bund tedesco è passato da 0,32% a 0,42%, tornando sui livelli di 12 mesi fa. La “regola dei 10 punti base” si è fatta sentire anche sui bond francesi (da 0,81% a 0,91%), sui Bonos spagnoli (da 1,4 a 1,5%) e sui BTp italiani, il cui rendimento ha superato nuovamente la barriera del 2% (con chiusura al 2,02%).
«Il movimento rialzista dei rendimenti parte dal Bund tedesco che sta facendo salire anche i rendimenti dei titoli del Sud Europa - spiega Angelo Drusiani, esperto del mercato obbligazionario di Banca Albertini Syz -. I rendimenti dell’area euro sono destinati ancora a salire, a prescidere dalla strada che in futuro prenderà la politica monetaria della Bce. Questo movimento è dovuto sia all’aumento dell’inflazione nell’area euro. Ma anche perché su questi livelli per gli ope- ratori il premio a rischio di comprare titoli di Stato è troppo elevato rispetto a quello di avere una posizione ribassista. Non escluderei che tra sei mesi il Bund tedesco torni all’1% e il BTp al 2,5%. Il che, per i titoli italiani, equivarrebbe a una perdita di valore del 4%».
Dopo 35 anni di rialzi consecutivi per il mercato dei bond sembrano quindi esserci le condizioni sottostanti perché il 2017 possa invertire il trend. Sono ancora tanti (la maggioranza) gli esperti che ipotizzano che il deflusso dall’obbligazionario potrebbe continuare a confluire nel mercato azionario ripristinando così una delle più classiche rotazioni di portafoglio. Sebbene questa sia l’opinione prevalente non mancano gestori che la pensano all’opposto e che procedono con i piedi di piombo sulle Borse. «Prevediamo per quest’anno un ribasso del 15-20% per Wall Street e per le Borse europee - spiega Alessandro Picchioni, presidente e direttore investimenti di WoodPecker Capital -. A nostro avviso i mercati stanno sottovalutando l’effetto boomerang delle promesse di Trump sugli sgravi fiscali alle imprese Usa che riportano a casa i capitali. Sebbene nel breve questa fiscalità favorevole potrebbe tradursi in un aumento degli utili, nel medio-lungo periodo andrà a penalizzare le multinazionali statunitensi. Perché la riforma promessa da Trump spinge verso la de-globalizzazione. E questo rischia di penalizzare le multinazionali i cui profitti sono aumentati esponenzialmente nell’ultimo decennio proprio grazie alla globalizzazione».
Dopo l’elezione di Trump i mercati hanno scelto di concentrarsi sul bicchiere mezzo pieno prezzando solo la parte buona delle sue dichiarazioni. Se invece dovessero iniziare a concentrarsi sugli aspetti controversi delle politiche protezioniste annunciate, non solo per i bond - in rialzo da 35 anni - ma anche per le Borse - in versione Toro ormai da 8 anni - potrebbe aprirsi una finestra contrastata.
IL BILANCIO Dalle elezioni presidenziali di inizio novembre a oggi Wall Street ha guadagnato l’8,5%, mentre le Borse europee sono salite del 12%