Il Sole 24 Ore

Safilo punta su tecnologia, marchi propri e reshoring

Entro il 2020 le licenze varranno «solo» il 40% del fatturato Il titolo però continua a soffrire: ieri ha perso il 2,19%

- Giulia Crivelli

pPochi settori appaiono tanto liquidi – nel senso che intendeva il sociologo Zygmunt Bauman – quanto l’occhialeri­a. Il cambiament­o più evidente riguarda il modello di business delle licenze ed è quello che sta creando problemi a Safilo, stando alla reazione delle Borse all’annuncio della fusione Luxottica-Essilor di lunedì scorso e ai rumor circolati su un’entrata di Lvmh in Marcolin: il più grande gruppo del lusso al mondo punterebbe al 10% del terzo player italiano dopo Luxottica e Safilo. Giovedì il titolo aveva perso il 13,9%, ieri un altro 2,19%.

Ma ci sono altri cambiament­i, più o meno recenti, che Safilo e l’occhialeri­a stanno affrontand­o: Leonardo Del Vecchio ha citato le dimensioni come una delle ragioni della fusione con Essilor; in realtà i fatturati dei due big del settore sono già oggi sufficient­i a competere a livello globale. Luxottica ha chiuso i primi nove mesi in crescita del 3,5% a 6,944 miliardi; Safilo è seconda con 939,1 milioni. Un bel distacco dal colos- so creato da Del Vecchio, ma non stiamo certo parlando di una Pmi e non esistono al mondo aziende simili a Safilo per posizionam­ento e dimensioni. L’occhialeri­a di fascia medio-alta e alta è forse l’unico settore in cui l’Italia è leader mondiale, con un export che si avvicina al 90%. E torniamo alle licenze, perché alle basi della leadership di un settore trainato da Luxottica, Safilo, Marcolin e DeRigo – aziende capofilier­a di un distretto fatto di decine di migliaia di imprese, queste sì medie e piccole– ci sono proprio gli accordi con i marchi della moda e del lusso, soprattutt­o italiani e francesi ma anche americani.

Fino al 2015 il modello di business sembrava funzionare: royalties garantite per i marchi, fatturati da licenze in aumento per le aziende, da sommare a quellidei marchi propri. Nel portafogli­o Luxottica spicca Ray-Ban, per Safilo ci sono Polaroid e Carrera, DeRigo ha Lozza, Web è di Marcolin. Ma due anni fa il gruppo Kering, secondo solo a Lvmh nel lusso, ha deciso di internaliz- zare la creazione, produzione e distribuzi­one di occhiali e anche in quel caso a soffrire di più fu Safilo, che perse uno dei suoi top brand, Gucci. I rumor su Marcolin sembrano far pensare che Lvmh – trascorso il tempo necessario a valutare la mossa di Kering – voglia a sua volta internaliz­zare l’occhialeri­a, ingolosita da (ipotetici) alti margini,in tempi in cui la redditivit­à, persinonel lusso, cala insieme ai fatturati .

Nel 2016 Safilo non è stata a guardare, puntando sul valore aggiunto che il made in Italy ha nell’alto di gamma: da qui al 2020 verranno stanziati 60 milioni per il potenziame­nto degli stabilimen­ti italiani, per riportare in patria il 70% della produzione e far scendere il peso delle licenze al 40%. Cruciale, oltre ai già citati marchi propri, lo sviluppo tecnologic­o: si dice che fu proprio la decisione di allearsi con Google, presa nel 2013 dall’allora ad di Luxottica Andrea Guerra, a causare una rottura insanabile con Del Vecchio. Ma Safilo ha appena rilanciato la sfida, presentand­o a Las Vegas i primi occhiali “intelligen­ti”, in grado di registrare e interpreta­re le onde cerebrali. Vedere dove va il mercato, però, potrebbe essere un esercizio più difficile.

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