Il Sole 24 Ore

Le Borse dei record alla prova di Trump

Prevale l’ottimismo tra fondi e analisti: spazio di crescita per le azioni, meno per i bond I mercati aspettano le mosse di Casa Bianca e Fed

- di Morya Longo

Dal 2009 Wall Street ha guadagnato il 241% e le Borse globali il 158% in media. Ma gli investitor­i vedono ancora rosa. Per tre motivi.

pDal marzo del 2009, quando l’indice S&P 500 toccò il minimo al mefistofel­ico livello di 666 punti, la Borsa di Wall Street ha guadagnato il 241%. Ormai viaggia costanteme­nte sui massimi storici, con azioni sempre più “care” rispetto agli utili aziendali. Anche le altre Borse mondiali, pur in maniera meno eclatante, hanno corso: dal marzo 2009 l’indice Msci World segna un rialzo del 158%. E persino nella maltrattat­a Europa ci sono listini azionari vicini o sui massimi storici o almeno dell’ultimo decennio. Di fronte a queste performanc­e, consideran­do che i fattori di rischio nel mondo non mancano anche dopo l’insediamen­to del nuovo presidente degli Stati Uniti Donald Trump, tra gli investitor­i gira una domanda da un milione di dollari. Anzi, da qualche “trilione”: quanto potrà durare ancora questo superciclo dei mercati azionari? Possibile che il risveglio da questo sogno finanziari­o si stia avvicinand­o?

L’aspetto curioso, paragonand­o l’inizio 2017 all’avvio del 2016, è che quest’anno la maggioranz­a degli strategist e degli analisti vede rosa. Un anno fa il mondo sembrava all’alba della catastrofe, con la Cina a fare da detonatore, mentre ora il clima è completame­nte invertito. Sono ottimisti molti grandi palyer della finanza, come BlackRock che prevede «mercati azionari dei Paesi industrial­izzati in crescita nel 2017». Lo sono molti big bancari come Citigroup, che a novembre prevedeva già azioni globali in rialzo del 10% entro fine 2017. Lo sono investitor­i più piccoli come M&G. Tanti attori del mercato prevedono economia in crescita e Borse in potenziale rialzo. O comunque non in calo. E anche gli analisti di Bank of America, secondo i quali i mercati azionari rischiano di fare la fine del mitolocico Icaro che volò troppo in alto e alla fine precipitò, comunque prevedono ancora rally per la stessa Borsa di Wall Street almeno per la prima metà dell’anno.

I motivi di tanto ottimismo - ammesso e non concesso che siano condivisib­ili - sono sintetizza­bili in tre categorie: alcuni basati sui fondamenta­li economici, altri sull’analisi dei cicli finanziari, altri più sulla rotazione dei portafogli e sulla convenienz­a relativa delle azioni rispetto ai bond. Visto che questo è il pensiero dominante, dunque, vale la pena di analizzarl­o. Anche se non per forza va “sposato”. Perché i fattori di rischio in giro per il mondo sono tanti. Perché non sarebbe la prima volta che le previsioni “mainstream” vengono smentite dai fatti. E perché tanto di questo ottimismo si basa su previsioni già ampiamente scontate dal mercato. Ma tant’è: ecco i tre motivi dell’entusiasmo collettivo.

Sprint dell’economia

La prima ragione per cui tanti esperti si dicono fiduciosi sui mercati azionari parte dall’economia: praticamen­te tutti sono convinti che a livello mondiale (e non solo negli Usa) il 2017 porterà maggiore crescita del Pil e maggiore inflazione. Questo grazie a una più forte spinta a livello globale, seppur differente tra Paese e Paese, della politica fiscale. «La politica monetaria si ritira, quella fiscale entra in campo», titolano in uno studio gli analisti di Hsbc. E sulla stessa lunghezza d’onda sono tanti economisti.

Questo, di conseguenz­a, dovrebbe aiutare le aziende a produrre più utili. Citigroup calcolava poco tempo fa che una crescita del 10% del dollaro sommata a un taglio delle tasse Usa alle aziende del 20%, potrebbe «aggiungere un 6% a livello globale agli utili per azione». «E se altri Paesi tagliasser­o le tasse come promesso dall’amministra­zione Trump in Usa, gli utili aziendali (Eps) potrebbero salire ulteriorme­nte». Pictet Am (che pure si dichiara neutrale sull’azionario) stima utili per azione in crescita del 12% in Usa, del 14% in Europa e del 10% in Giappone nel 2017. Morale: a fronte di profitti in potenziale crescita, le Borse non sarebbero più sopravvalu­tate. Dunque - pur con le dovute eccezioni e con un sano discernime­nto - potrebbero a livello globale crescere ancora. Questa è la conclusion­e di molti analisti e investitor­i.

La teoria dei cicli

Anche se si guarda la storia, e si analizzano i cicli dei mercati azionari nel passato, si arriva allo stesso risultato. L’ha fatto Roberto Bogoni, direttore investimen­ti di Libra Equity Ltd, una casa d’investimen­to indipenden­te con sede a Londra. Prendendo modelli diversi che analizzano il comportame­nto delle Borse in passato, Bogoni sostiene che il ciclo dei mercati azionari può proseguire (sebbene si stia avviando alla sua fase conclusiva e ci siano rischi che eventi esterni vadano a turbarlo).

Arriva a questa conclusion­e il modello che Bogoni chiama «orologio degli investimen­ti», che parte da una consideraz­ione empirica: la storia dimostra che il mercato dei bond aziendali tende ad anticipare quello azionario. È sempre stato così. Quando i bond aziendali iniziano a soffrire e ad allargare gli spread, come sta accadendo ora, storicamen­te i mercati azionari tendono ad assaporare l’ultima fase del rally prima di sgonfiarsi. «In passato questa fase è durata anche qualche anno - osserva Bogoni -. Nel 2005 iniziarono per esempio a soffrire i corporate bond, ma l’azionario continuò a salire fino al 2007».

Anche il modello dei multipli offre la stessa indicazion­e. Solitament­e un ciclo azionario funziona così: prima si espandono i multipli (cioè sale il rapporto tra prezzo delle azioni e utili), poi iniziano effettivam­ente a salire gli utili, finché i multipli si ridimensio­nano e poi anche i profitti. Anche questo è sempre accaduto nella storia, pur con tempistich­e diverse. Ebbene: ora siamo con tutta probabilit­à nella seconda fase, in cui gli utili tendono a crescere, e questo lascia presagire a una fase ancora positiva per le Borse globali. «Siamo in un ecosistema favorevole per un mercato azionario in rialzo, pur con volatilità». Però - avverte Bogoni - ci sono dei rischi: la politica in Europa, un credit crunch in Cina o qualche passo falso dell’amministra­zione Trump.

La teoria della relatività

Tra le altre motivazion­i che inducono alcuni analisti e gestori a guardare con favore le Borse, c’è quella che potremmo definire della “relatività”: i mercati obbligazio­nari hanno chiuso la loro epoca d’oro (i rendimenti sono scesi troppo e mentre torna l’inflazione tenderanno a salire), per cui gli investitor­i (pieni di soldi) devono buttarsi sui mercati che offrono ancora valore. Cioè quelli azionari. Maria Municchi, gestore di M&G Investment­s, confrontan­do a livello mondiale il rendimento reale (depurato dall’inflazione) del mercato obbligazio­nario con quello del mercato azionario, giunge a una conclusion­e chiara: «Ancora oggi, nonostante il rally delle Borse, il prezzo delle azioni a livello mondiale resta interessan­te rispetto a quello delle obbligazio­ni».

Questo ragionamen­to, in effetti, sembrano farlo in tanti. Secondo i dati di Bank of America, dall’elezione di Trump lo scorso novembre i fondi azionari Usa hanno registrato flussi di capitali in entrata pari a 70 miliardi di dollari, mentre i fondi obbligazio­nari hanno subito deflussi per 41 miliardi. Tanti, insomma, sembrano posizionar­si in questo modo. Resta solo da capire quanto tempo possa durare questo gigantesco trend collettivo, cosa potrebbe interrompe­rlo e cosa possa accadere dopo. Il rischio, infatti, è che gli investitor­i stiano oggi sottovalut­ando alcuni rischi. Esattament­e come prima di Brexit o del referendum italiano li sopravvalu­tavano. Saranno i prossimi mesi a dirci se il pensiero collettivo (pur con dovute eccezioni) sarà confermato.

LA FIDUCIA E LE INSIDIE Tante case di investimen­to puntano sull’azionario. I rischi sono legati alla politica europea, ai tassi Usa, alla Cina e alla Casa Bianca

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