Il Sole 24 Ore

Il presidente e la trappola del Medio Oriente

- Di Alberto Negri

La trappola del Medio Oriente, dove da un secolo si decidono le sorti di intere nazioni e di qualche impero, è pronta a scattare anche per Trump. Se ci sarà una “luna di miele” tra Putin eilnuov op residente forselo capiremo già con l’invito dei russi agli Stati Uniti per partecipar­e ai negoziati sulla Siria di Astana (dove andrà l’ambasciato­re in Kazakhstan).

Ma la prima chiamata internazio­nale per Trump non porta buone notizie. Il nuovo presidente eredita la sconfitta clamorosa della coppia Obama-Clinton che voleva abbattere il regime di Assad in collaboraz­ione con la Turchia, le monarchie del Golfo e una variegata opposizion­e composta da dozzine di gruppi jihadisti. È stata questa operazione fallimenta­re che ha spianato la strada al ritorno della Russia e ha fatto chinare umilmente la testa a Erdogan, un alleato della Nato con cui Trump vuole riprendere buoni rapporti dopo la crisi profonda con Obama.

La nuova amministra­zione riparte quindi da una débàcle. «Assad se ne deve andare» è stato per sei anni il ritornello di Washington e dei suoi alleati europei che Trump vede oggi come il fumo negli occhi, forse non a torto: i francesi hanno convinto Washington che nel 2011 bisognava bombardare la Libia di Gheddafi, la stessa Francia e gli inglesi con la regia della Clinton che si poteva far fuori Assad in pochi mesi. Per gli Stati Uniti che avevano ereditato il disastro di Bush junior con la guerra in Iraq nel 2003, il Medio Oriente è stato una sequela di errori di cui hanno approfitta­to strategica­mente la Russia di Putin e l’Iran degli ayatollah, ovvero gli avversari degli Usa.

Trump in Medio Oriente sa che non si può fidare neppure dell’establishm­ent repubblica­no che costruì con le armi di distruzion­e di massa di Saddam la più colossale operazione di disinforma­zione dell’epoca contempora­nea. A questo proposito c’è un dettaglio assai interessan­te: le foto satellitar­i delle armi di distruzion­e di massa - la famosa “pistola fumante” mostrata dal segretario di Stato Colin Powell all’Onu - furono fornite dall’allora capo della National Geospatial Intelligen­ce Agency, James Clapper, lo stesso che come direttore della Nsa ha portato le prove dell’interferen­za degli hacker russi nelle presidenzi­ali americane.

Ecco perché Trump mantiene una sorta di caos creativo nell’amministra­zione e ha nominato il genero Jared Kushner come consiglier­e del Medio Oriente: più che fare improbabil­i accordi regionali, il giovane immobiliar­ista ebreo gli deve guardargli le spalle dal suo stesso staff. Trump si appoggia ai familiari e a poche persone, per questo terrà alta la tensione sul populismo finché non si consolida.

Quando Trump in campagna elettorale sosteneva che per battere l’Isis bisognava allearsi con Mosca non faceva altro che prendere atto di una realtà. Il problema è che per gli Stati Uniti il Medio Oriente è un coacervo di conflitti di interesse sedimentat­i in 70 anni di politica americana.

La permanenza anche temporanea di Assad al potere in accordo con Mosca significa una vittoria per l’Iran e l’asse sciita con la massima irritazion­e dei principali alleati americani nella regione, Israele e l’Arabia saudita. La domanda chiave è se Trump è disposto a entrare in conflitto

UN COACERVO DI ERRORI Dopo le disavventu­re di Bush e Obama, la Russia, l’Iran, gli Usa affrontano ora una situazione difficile

con loro. Le dichiarazi­oni a favore di Gerusalemm­e «capitale eterna di Israele», degli insediamen­ti e dello spostament­o dell’ambasciata da Tel Aviv non vanno certamente in questa direzione. Se è vero che Trump ha rimbeccato i sauditi perché «hanno sempre bisogno di noi per difendersi», qualcuno spieghierà al nuovo presidente che negli ultimi otto anni gli Usa hanno stipulato con Riad e Tel Aviv contratti da 130-140 miliardi di dollari nel settore armamenti. Gli Usa portano a casa un bel po’ di utili con il controllo dell’energia, la vendita di armi del complesso militare-industrial­e, gli investimen­ti finanziari delle monarchie del Golfo. “America First” vuol dire vendere anche i Boeing all’Iran, con cui secondo Trump è stato firmato sul nucleare «il peggiore accordo della storia».

Se per Trump la politica estera significa promuovere gli interessi economici degli Stati Uniti e usare la forze armate per bastonare i riottosi, in Medio Oriente si accorgerà di essere nel posto giusto: il problema è capire se quello che stai facendo è la cosa giusta.

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