La seconda Marcinelle d’Abruzzo
Dei 136 minatori italiani che nel 1956 persero la vita nelle miniere belghe 60 erano abruzzesi - Un vecchio pastore r icordava una rovinosa slavina sul luogo dell’hotel negli anni ’30
L’hotel di Rigopiano non doveva essere lì, si dice con un’affermazione lapidaria dalla quale peraltro prenderà le mosse - ma con l’aggiunta di un punto interrogativo - l’inchie- sta della Procura della Repubblica di Pescara. Domanda legittima che ne omette molte altre e non si preoccupa di tratteggiare il contesto.
Il resort di Roberto Del Rosso oltre che una bellissima struttura rinnovata con rilevanti investimenti nel 2007 («Roberto si era svenato» confessa l’avvocato Nazario Pagano, amico intimo di Del Rosso ed ex presidente dell’assemblea regionale abruzzese), rappresentava il tentativo di invertire la direzione di marcia di un territorio con un’economia al collasso.
Le due grandi aziende di Penne sono la Brioni, passata nel 2011 al gruppo francese di Francois Pinault, e l’ospedale della comunità Vestina (il popolo osco-umbro del IV secolo avanti Cristo).
Brioni era stata fondata nel 1945 a Roma da un sarto geniale di Penne, Nazareno Fonticoli, e per oltre mezzo secolo è stata la lepre della sartoria maschile italiana nel mondo. «Con il passaggio ai francesi gli occupati sono scesi a 1.200 addetti» dice l’assessore alle Attività produttive Gilberto Petrucci. Anche l’ospedale di Penne, la seconda azienda della cittadina, ha dimezzato gli organici nel piano generale di riduzione del debito sanitario della Regione. Il resto è un’economia agropastorale. Famoso tra gli appassionati il pecorino di Farindola e una serie di case vinicole co- me la Valentini di Loreto Aprutino, uno dei monumenti dell’enologia italiana.
Gli abruzzesi di Penne lo raccontano con una certa ritrosia, ma qui come in altre parti dell’Appennino nel dopoguerra le fame si tagliava a fette. A Marcinelle, in Belgio, dei 136 minatori italiani seppelliti nella miniera del Bois du Cazier l’8 agosto 1956, 60 erano abruzzesi e oltre mezza dozzina di Farindola. Se questo è l’imprinting, non si può biasimare il tentativo di Del Rosso di trasformare il resort nell’attrattore turistico della zona.
L’architetto muove i primi passi con l’agenzia Alta designer di Pescara. Il marchio della De Cecco con la contadina procace abruzzese stampigliata nelle confezioni di pasta, è opera di Del Rosso, che esponeva un quadro con il simbolo dei pastai di Fara San Martino in una delle sale più belle del suo resort. Non si contano le convention con la rete dei venditori della De Cecco organizzati a Rigopiano. Tutti sono felici di correre in questo luogo incantato e a pochi interessa sapere che nei lontani anni 50 alla confluenza di tre grandi canaloni c’era solo un casolare di montagna voluto da un brigadiere del Corpo Forestale. Poi a metà degli anni 60 Ermanno Del Rosso, lo zio di Roberto, se ne innamora ma il sindaco dell’epoca concede saggiamente l’uso del rifugio per attività ricettiva solo nei mesi estivi.
La sorte non è mai stata benigna con Del Rosso: i lavori si concludono nel febbraio 2009, due mesi prima del terremoto distruttivo di magnitudo 6.3 che colpirà l’Aquila e una cinquantina di paesi della provin- cia seminando 309 morti.
L’architetto pescarese si dispera: per anni nessuno vorrà visitare l’Abruzzo, dice ai suoi amici più fidati. Nel frattempo, sono gli amici del Consiglio regionale a organizzare incontri politici e convention con l’ex governatore Gianni Chiodi. La seconda mazzata arriva con l’inchiesta della Procura di Pescara. Ipotesi di reato: corruzione, abuso d’ufficio, falso, estorsione. Tutto origina dalla concessione da parte del Comune di un terreno dedicato al pascolo a Del Rosso in cambio di un canone annuale di 7mila euro. L’albergatore deve allargare l’area dei parcheggi. A favore si pronuncia la maggioranza del Consiglio comunale di Farindola (il cui nome antico è Farinola, la valle dei mulini). L’opposizione di qualche pastore e di un consigliere di minoranza genera un conflitto pesantissimo che sfocerà nella denuncia alla Procura.
Alla guerra di carte bollate si sommano pure i cattivi presagi. Racconta Vittorio Ammazzalorso (le famiglie fondatrici del paese sono gli Ammazzalorso e i Dell’Orso) ex vigile urbano di Farindola: «Un vecchio pastore andava in giro per il paese vaticinando sventure per il rifugio di Rigopiano: sosteneva che a metà degli anni ’30, proprio dove sorge il resort, c’era stata una rovinosa slavina». Nessuno fece caso alla Cassandra. E nessuno intervenne a valutare il rischio di una struttura immersa in un luogo estremo e ad alto rischio sismico. Nel marzo 2015 l’hotel di Rigopiano rimane isolato quattro giorni per l’ennesima nevicata. Il sindaco di allora fu costretto a inviare un elicottero con un carico di gasolio per alimentare la caldaia. «Arrivare a Rigopiano era un’impresa anche in estate» racconta un albergatore di Loreto Aprutino. Una sola strada piena di tornanti e sconnessa. Pure questo moltiplicava il fascino del luogo. Dal Rosso assume ragazzi e ragazzi di Farindola e Penne: giovani brillanti come il receptionist Alessandro Ricetti, laurea in Lingue e master in Gestione alberghiera.
Nel 2014 il mercato si rimette in moto e l’architetto pescarese pensa finalmente di aver svoltato. Un momento favorevole al quale si aggiunge la sentenza di assoluzione del reato di corruzione perché «il fatto non sussiste». Ormai per una suite a Rigopiano sgomitano star di fama internazionale: il regista Peppuccio Tornatore ci trascorre il capodanno appena passato. «Il resort era la nostra grande fabbrica» dice con rimpianto il neo sindaco Ilario Lacchetta. Il destino ci mette del suo: terremoto (come più volte in questa terra ballerina) e slavina (come a metà degli anni 30) agiscono con una sincronicità luciferina. E per l’Abruzzo è una seconda Marcinelle.
LA «GRANDE FABBRICA» Il resort di Del Rosso spazzato via dalla slavina era considerato l’occasione di rilancio per un’economia industriale in grande difficoltà